Da martedì tutto peggiorerà. Ne soffriranno lo stato di diritto, la divisione dei poteri, l’autonomia delle agenzie statali come l’FBI e le istituzioni in generale. Ne soffriranno l’ordine internazionale e le sue organizzazioni multilaterali emerse dalla Seconda Guerra Mondiale, dalle Nazioni Unite al FMI, alla NATO e all’UE, e naturalmente le relazioni con gli alleati europei. Il futuro dell’Ucraina, dei territori di Gaza e della Cisgiordania e, soprattutto, dei palestinesi che li abitano è incerto e preoccupante. I dubbi potrebbero estendersi anche al futuro di Taiwan. Suderanno sangue coloro che hanno a cuore la sofferenza degli altri, le vittime delle guerre, i diritti umani e ancor più coloro che promuovono la giustizia internazionale in tutti i suoi rami, in particolare la giustizia penale.
Sarà un grande giorno, però, per chi apprezza poco la democrazia liberale e le sue istituzioni, come nel caso di chi assumerà la carica di presidente, disposto a ridurre la pubblica amministrazione, abbassare le tasse sui ricchi, espellere gli immigrati,. dimenticare il cambiamento climatico, ridurre la spesa sociale, imporre tariffe molto alte, sottoporre i suoi funzionari a un’epurazione ideologica, usare la polizia e la giustizia per perseguitare i nemici e fare pressione sui media convenzionali ribelli. Sarà lo stesso anche per l’estrema destra al potere o in ascesa, da Milei e Meloni ad Alice Weidel o Santiago Abascal. Senza dimenticare Netanyahu, pronto a pretendere i frutti della sua semina: la prolungata guerra contro i palestinesi che ha aiutato Trump alla vittoria e la tregua a Gaza, che ora contribuirà a fare di lui un talismano di pace.
Questi gli scopi e le aspettative, ben noti. Con un avvertimento intrinseco, quando si tratta di Trump: nulla è stabile o certo nelle sue dichiarazioni. E un’altra che funziona per tutti: non importa quanto cattive siano le intenzioni, poi bisogna giudicare dai fatti. Gli uomini fanno la storia, ma non conoscono la storia che fanno. Nell’universo trumpista l’idea di verità non esiste. Vale nel momento in cui viene formulato attraverso i social network, e viene giudicato solo dalla sua efficacia persuasiva o intimidatoria. Niente migliorerà con le nomine che si stanno diffondendo tra coloro che accompagneranno il presidente, dopo avergli baciato l’anello nuziale. capo di capi.
Molti pensano che la democrazia sia in pericolo imminente come lo era negli anni ’30. Eppure non mancano le voci che chiedono di moderare ogni allarme. Non è necessario chiamare maltempo. Sicuramente non sarà così male. Sarà a metà metà. È il dibattito del momento tra profeti di sventura e tranquillizzatori, le due percezioni di un futuro che è già oggi. Va notato che nel cosiddetto Sud del mondo l’angoscia è minore e migliori sono le aspettative sollevate dalla diplomazia transazionale trumpista nel nuovo mondo multipolare. La vertigine è soprattutto europea, mentre nel resto del mondo i sondaggi confermano maggiore tranquillità e perfino sollievo e speranza di pace per l’Ucraina e il Medio Oriente.
Conoscendo gli scopi del prossimo presidente, la questione è valutare fino a che punto sarà in grado di cambiare il mondo a suo piacimento. Questa è la domanda che si è posta la rivista più che centenaria Affari Esteri alla prestigiosa storica canadese Margaret MacMillan, capace di collocare l’attuale bivio nella prospettiva del XX secolo, sua specialità. Secondo la sua diagnosi, la seconda presidenza di Trump sarà un vero e proprio stress test (prova di stress) per la democrazia negli Stati Uniti e l’ordine liberale internazionale. Le istituzioni non dimostrano la loro solidità finché non superano una prova esistenziale come questa, come è accaduto quando sono emersi leader disposti a rompere tutto ciò che era necessario, come Napoleone, Hitler, Lenin e Stalin. In quanto creatori di “un nuovo regime, con nuove istituzioni, nuovi valori e nuovi vincitori e vinti”, sono i leader politici che la storica cita per la sua riflessione su Trump.
Negli anni ’30 la democrazia resistette nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ma crollò in Germania e in Giappone e le istituzioni internazionali crollarono. Un secolo dopo, tutto sembra più solido e ci sono maggiori contrappesi, interni agli Stati Uniti ed esterni, al sistema delle Nazioni Unite. Per MacMillan c’è un dubbio pressante sul comportamento di Trump: “Rispetterà alcuni limiti in patria e all’estero o li ignorerà, confidando nel proprio potere”, come è avvenuto con i grandi dittatori del XX secolo? Da ciò si deduce il ruolo cruciale che la storia ha assegnato agli alleati di Washington, in particolare agli europei, come potenziale, anche se improbabile, contrappeso, forse l’ultima trincea di fronte alla inquietante presidenza che sta iniziando.