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Torres-García, oltre il simbolo | Arte e architettura


Quando Joaquín Torres-García (Montevideo, 1874-1949) arrivò in Catalogna aveva solo 17 anni. Nella terra natale di suo padre decise di diventare pittore e si formò in diverse scuole a Mataró e Barcellona. La sua opportunità arrivò nel 1897 quando partecipò a una collettiva del Cercle Artístic de Sant Lluc che ebbe luogo a Sala Parés. E, dopo questo, ne arrivarono altri nella stessa località. Per celebrare il 150° anniversario della nascita del pittore catalano-uruguaiano e di questa sua prima relazione, l’emblematica galleria di Carrer Petritxol ha inaugurato lo scorso novembre una retrospettiva che condensa quattro decenni di pratica artistica attraverso un centinaio di oli, lavori su carta e giocattoli. Il percorso inizia con il corteggiamento modernista, prosegue con l’estasi noucentista e si conclude con la comunione di Torres-García con le avanguardie fino a diventare il precursore dell’arte costruttiva universale.

Nel 1909, quando sposò la sua allieva Manolita Piña, Torres-García godeva già di una certa reputazione come pittore simbolista. Nonostante l’ammirazione per l’arte primitiva e l’influenza accademica, rivendicava nell’arte un sentimento profondo che andava oltre l’aspetto meramente estetico. L’arte per l’arte non funzionava per lui. Il grande incarico gli arrivò poco dopo, nel 1911, quando il presidente del Commonwealth, Enric Prat de la Riba, gli affidò la decorazione del Saló de Sant Jordi nel Palau de la Generalitat. Per Torres-García si trattò di un impegno personale per il Paese e anche di una sfida professionale, interrotta dalla morte inaspettata di Prat de la Riba nel 1917. Alcuni dei sei schizzi che realizzò per la cripta rinascimentale si possono ammirare nella magnifica mostra alla Sala Parés, ma riuscì a dipingerne solo quattro sul posto: L’eterna Catalogna (1913), Terra o l’età dell’oro dell’umanità (1915), Le arti o le muse del Parnaso (1916) i Il temporaneo non è altro che un simbolo (1916). Questi murali furono coperti durante la dittatura di Primo de Rivera e non poterono essere recuperati fino alla fine degli anni ’60. Da allora sono stati esposti – frammentati e fuori contesto – in quella che è conosciuta come Sala Torres-García.

Disegno del 1932 di Torres-García, esposto nella Sala Parés.
Disegno del 1932 di Torres-García, esposto nella Sala Parés. ArtWorkPhoto.eu

Il disincanto per i murales spinse Torres-García a rivolgersi alla modernità, staccandosi dalla classica estetica noucentista e abbracciando l’avanguardia. Il fascino per la città moderna e l’influenza della corrente futurista emergono nella sua opera a partire dal 1917 e coincidono con la realizzazione dei primi giocattoli, attività che continuò durante i due anni della sua residenza a New York e che divenne uno dei i pionieri nel mettere l’arte al servizio della pedagogia. Nel 1922, anno del ritorno in Europa, Torres-García e famiglia vissero in Italia – dove nacque il quarto figlio – e nel sud della Francia, finché nel 1926 si trasferirono a Parigi, dove fu cofondatore della Gruppo Cercle et Carré. Nella capitale dell’arte moderna fece germogliare il proprio linguaggio plastico che confluiva nel suo pensiero teorico: arte costruttiva universale, comunione tra l’uomo e l’ordine cosmico, tra l’arte primitiva e quella d’avanguardia, che cercava di rappresentare la realtà in modo modo semplificato. Niente di meno che un distillato di tutta la conoscenza accumulata da Torres-García nei quattro decenni trascorsi in Europa, prima di tornare nel 1934 a Montevideo, la città dove batte ancora la sua eredità grazie alla fondazione che porta il suo nome.



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Luca

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