Per Ivan Morales pedalare è costato a Dio e al suo aiuto Giorno Watusiil celebre e fortunato romanzo di Francisco Casavella. Fino a quando non è salito sul palco di Lliure de Gràcia, la primavera scorsa, da almeno cinque anni, a testa bassa, il regista e drammaturgo barcellonese vi trascorreva giorni e notti, con vaghe promesse di produzioni e coproduzioni in mezzo, con l’ unico sostegno, per lungo tempo, del festival greco. Nessuna azienda privata ha voluto scommetterci. E i teatri pubblici lo guardavano senza convinzione. Ma non aveva bussato alla porta di Juan Carlos Martel, al Teatre Lliure, che gli aveva detto: perché no, saremo lì. Durante tutti questi anni di ricerca, Morales aveva cercato la complicità di qualche teatro madrileno, poiché le rappresentazioni sarebbero state in spagnolo e Enric Auquer sarebbe stato scelto per il ruolo di Fernando Atienza. Avere un protagonista della moda, sia a Madrid che qui, è fondamentale per far decollare qualsiasi progetto. Per quanto strano possa essere, se hai un Auquer, sei più vicino al sì che al no.
Ma non hanno mai finito di vedere chiaramente la proposta. Troppo Barcellona? Perché dovrebbe durare a lungo? Perché Casavella non è un classico (!)? A Madrid, il Centro Dramático Nacional (CDN) ha appena presentato in anteprima una versione di Nientedi Carmen Laforet, adattato da Joan Yago, della durata di tre ore. E nel 2022 lo stesso teatro lo ha fatto Lettura faciledi Cristina Morales, con Alberto San Juan come drammaturgo… Morales pensava che, dopo la prima, le cose sarebbero cambiate, che la CDN l’avrebbe accolto favorevolmente. Mi fidavo ciecamente. Poi di più, soprattutto grazie alla grande accoglienza che ha avuto, nonostante le quattro lunghe ore, con i biglietti esauriti e tutta la critica di Barcellona ai suoi piedi. Questo lunedì ha vinto il premio Butaca per il miglior montaggio, il miglior attore (Enric Auquer) e il miglior attore non protagonista (Guillem Balart). piccolo scherzo
Ma Watusi a Madrid non lo vogliono. E non lo vogliono perché li spaventa. È vero che Madrid vive una vera e propria guerra culturale, che cadono le teste, che il Ministro della Cultura di Madrid, Mariano de Paco, programma Infatti i Teatros del Canal, e che le istituzioni drammatiche statali (CDN, Teatro Clásico, ecc.) sono sole di fronte all’assalto dell’estrema destra. Ed è altrettanto vero che la radiografia della Transizione di Casavella non è molto benevola nemmeno nei confronti del potere statale conservatore (“Pasaron los años y vi carteles de un partido reorganizado con el logo de una gaviota en vuelo, una W deshecha ya en tiempos del Partido Liberal Ciudadano”, p. 580), né con il governo conservatore catalano. Succede però che qui siamo già abituati a parlare male di noi stessi. Tutto quello che Casavella dice degli anni ’70 e ’80, i catalani lo avevano già visto prima.
Il teatro, qualunque arte, è sempre politico. E quando non lo è, o finge di non esserlo, è perché è di destra. Innocente. Quando si tratta di non darsi fastidio, o di voltarsi dall’altra parte, si può spogliare qualsiasi santo, si può far credere che zio Vania sia astemio o che tutta la colpa della mortalità causata da Macbeth sia di sua moglie. Casavella mette il dito negli occhi a molti. E Morales non se l’è fatto togliere, salvo allestire una scena che ricorderemo per il resto della nostra vita. A Madrid sarà mancato, ma così com’è arrivato Lettura facilearriverà Niente. E lasceremo che raccontino la nostra storia, ma non sentiranno la nostra versione. Una buona metafora per molte cose.