Sormontato o non sormontato. Riflessioni contro l’anglicismo | Letteratura
La famosa frase di Don Chisciotte quando dice “con la iglesia hemos topado, Sancho”, non è stata scritta da Cervantes né appare nel romanzo, la frase nel romanzo dice “hemos dado” e significa semplicemente che di notte, a quell’ora da quando di notte era tutto buio, mentre cercavano il presunto castello o castello della presunta fidanzata del protagonista, trovarono i resti dell’edificio della chiesa; cambiare il “dado” con il “topado” è stato inventato dalle persone, dai lettori del libro, che volevano capire che Don Chisciotte stava avvertendo che siamo arrivati al limite invalicabile perché c’è un’autorità che ti aspetta su dall’altra parte col rogo pronto, come allora.
Ma oggi incontriamo altre cose, oggi che la Chiesa e la sua inquisizione non dipingono più nulla né accendono fuochi per bruciare gli eretici, il confine è altrove. C’è una vaga inquisizione che ci fa obbedire come se fossimo degli idioti, o che ci fa obbedire perché siamo degli idioti e ci conformiamo. Ottemperare agli ordini vomitati dalla pubblicità e dagli Stati, o dallo Stato e dalla pubblicità, nella loro terribile alleanza capitalista, o, come dice il collega balbettante, cacca-peetalist. Alcuni di questi ordini non ci arrivano o non vengono formulati, ma noi li rispettiamo comunque: nei paesi catalani e castigliani, e direi anche francesi, portoghesi, italiani e altri, sembra che dentisti, manicuristi, barbieri, osterie , i librai, oltre alle agenzie di viaggio, immobiliari, negozi di articoli da regalo o di elettrodomestici, ecc. ecc., devono mettere i nomi e la pubblicità in inglese, come se fossero titoli di film, che spesso sono anche in inglese, non so perché. Perché soffriamo di un’epidemia di inarrestabile provincialismo anglocentrico: stiamo seguendo il provincialismo della città più provinciale del pianeta, che è Niu Work, per dirla come scriveva Dalí.
Da un lato ci sono gli anglicismi che, senza far rumore, stanno lentamente scomparendo nelle nostre lingue catalana, spagnola o francese: fino a quattro giorni fa ci si svegliava la mattina con la sveglia, ora si mette la sveglia, per svegliarci Ma nelle nostre lingue l’allarme è scappare, scappare perché siamo bombardati… e forse è proprio quello che sta accadendo. E i dizionari delle rispettive accademie lo stanno accogliendo, implementandolo. E ci sono anche anglicismi che non scriviamo né diciamo come in inglese, come i sad donuts, che magari abbiamo visto scritti ma senza avere la minima idea di come pronunciarli. I messicani, con i loro anglicismi a orecchio, e non letti, le chiamano “donne”, parola femminile: sulla lavagna nel forno c’è scritto “ciambelle buonissime”. Ma i messicani, che, come dicono, sono così lontani da Dio e così vicini ai gringos, sui segnali stradali non mettono STOP ma ALTO e non lasciano nemmeno un titolo di film in inglese.
Una particolarità del nostro anglocentrismo è che abbiamo l’inglese che ci schiaccia o preme dall’alto sullo spagnolo. Posso scaricare un catalanizzatore che mette Windows in catalano, che traduce le finestre spagnole in catalano, ma le finestre spagnole sono già una traduzione di un originale inglese, ed è anche una traduzione parziale, perché non dice nemmeno “ventanas” “finestre”, diu “finestre”. Sembra una negligenza: la pagina web dovrebbe essere la pagina web e Internet la rete, il che è già curioso la sfumatura tra la rete, nella quale si impiglia la mosca, e la rete, che serve per catturare il luccio…
Di queste espressioni inglesi, alcune si incorporano nella nostra lingua e rimangono, forse per sempre, come hanno fatto i club e il calcio. Molti durano solo una rugiada e poi cadono nel pozzo dell’oblio. Penso che i giovani di una generazione e mezza da oggi non capiranno nemmeno la metà di quello che diciamo oggi.
Un’altra mania è pronunciare i nomi stranieri come se fossero spagnoli, ed è così che diciamo Beckett pronunciato in spagnolo, che suona quasi uguale a Bécquer, quando in inglese si dice con una prima ‘e’ che somiglia alla nostra ‘è’ aperta e una seconda ‘e’ che suona quasi come una vocale neutra, per cui dovremmo dire “becat”, che fa rima con “hipoteca’t”. E’ una cosa che va avanti da tempo: quand’ero monello sembravamo tutti delle zuppe, diceva Frank Zappa con quell’assurda zeta castigliana.
Un altro lato di questo diamante è che siti web, randoms, googles e tutto il resto del gergo informatico, oltre a quasi tutto il vocabolario scientifico, fanno capire chi comanda, per il momento: gli anglofoni. Se quando abbiamo incontrato la chiesa abbiamo dovuto accettare che il mondo è stato creato in 7 giorni, ora senza sapere chi incontriamo, senza sapere se ci incontriamo o no, ora dobbiamo credere che il mondo è stato creato in una frazione di secondo da zero virgola zero zero zero e così via fino a 42 zeri e alla fine un 1, cioè in una frazione di secondo da 10 elevato a meno 43. Il mondo ha accettato questa idea, che Non so se sia platonico, aristotelico, presocratico o altro, e non mi interessa, ma è assodato che questo è il big bang e che è in inglese, perché se lo traducessimo dovrebbe essere chiamato il grande scoreggione.
Secondo la visione che Fages de Climent ha presentato al convegno Vila-sacra capitale del mónse nel 1213 il re Pere non fosse caduto nella battaglia di Muret, ora la capitale del mondo non sarebbe New York ma questa cittadina vicino a Figueres che è Vila-sacra, e l’idea, la forma e il modo di funzionamento del mondo sarebbe molto, molto diverso. È irritante che un re passato alla storia con il nome di Pietro il Cattolico sia morto difendendo i credenti catari (eretici!) dalla potente alleanza dell’espansionismo parigino con il cattolicesimo romano. Se quella battaglia non fosse andata persa, se gli occitani non avessero incontrato la chiesa, se Vila-sacra fosse la capitale del mondo, se la religione prevalente fosse quella del pane e del vino, la lingua dominante sarebbe il catalano e al posto del terribile , incomprensibile spettacolo cosmico del big bang, il mondo sarebbe iniziato pim pam, come se nulla fosse accaduto.