È probabile che l’ex presidente Jair Bolsonaro chiedere asilo all’ambasciata di un paese simile Argentina tuo Ungheria se ti trovi di fronte a un mandato d’arresto prima del 20 gennaio. Dopo tale data, gli Stati Uniti, sotto il mandato di Donald Trumpdiventano anch’esse una probabile destinazione.
Questa probabilità deriva da due fattori. Primo, la dichiarazione rilasciata dall’ex presidente questo giovedì (28) alla giornalista Raquel Landim, della UOL: “Ambasciata, da quello che vedo nella storia del mondo, chiunque si trovi perseguitato può andarci”.
In secondo luogo, perché ha provato ad accedere a questa risorsa a febbraio, quando ha trascorso due giorni all’interno dell’ambasciata ungherese a Brasilia, poco dopo la Polizia federale gli hanno sequestrato il passaporto. Questi due elementi dimostrano che l’ex presidente è informato su questo tema e considera questa possibilità da quando ha lasciato il potere.
L’asilo è uno strumento del diritto internazionale creato per proteggere le persone politicamente perseguitate. Non può essere confuso, tuttavia, con una sorta di ultima istanza attraverso la quale una persona condannata per un reato comune fugge dal Paese per evitare di scontare la pena. Il punto è che la differenziazione tra una cosa e l’altra è prerogativa di chi concede l’asilo e, in questo senso, il governo che accoglie la richiesta ha un enorme potere discrezionale per farlo.
Se un leader piace Javier MileyViktor Orbán o Donald Trump ritengono che Bolsonaro sia vittima di una persecuzione orchestrata dal ministro Alessandro di Moraesallora l’asilo verrà concesso, anche se la Corte Suprema Federale brasiliana non è d’accordo con la decisione.
In pratica, basta che Bolsonaro entri in un veicolo con targa diplomatica o in una struttura consolare per essere considerato un richiedente asilo diplomatico. La protezione di questi veicoli e impianti è garantita dalla Convenzione di Vienna del 1961, alla quale il Brasile è tenuto a conformarsi.
Per chiedere asilo, la tesi dell’ex presidente deve basarsi sull’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, secondo cui “ogni persona oggetto di persecuzione ha il diritto di chiedere e beneficiare di asilo in altri Paesi” o nell’articolo 1 della Convenzione di Caracas del 1954, secondo cui “ogni Stato ha il diritto di concedere asilo”.
La risposta della Suprema Corte a tale tesi deve basarsi, a sua volta, sul brano che segue immediatamente, nella stessa Dichiarazione universale: «Tale diritto non può, tuttavia, essere invocato nel caso di un procedimento effettivamente esistente per un reato di diritto comune o per attività contrarie agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite”.
In pratica, basta sapere se leader come Orban, Milei o Trump ritengono che Bolsonaro stesse commettendo un crimine comune o stesse legittimamente lottando per salvare la democrazia brasiliana da un colpo di stato ordito dalla sinistra in collusione con un giudice della Corte Suprema, attraverso una frode diffusa. nelle macchine per il voto elettronico.
Se l’asilo viene concesso, la Corte Suprema e l’ Itamaraty non faranno altro che protestare. Julian Assange, che ha vissuto sette anni presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, mostra quanto sia impossibile fare previsioni sull’esito di tali casi.