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Nel museo degli slanci: in mostra a Madrid l’intrigante arte di Liliana Porter | Babelia


Che posto fantastico è la Casa de la Moneda per una mostra di Liliana Porter. Che piacere andare in un museo così, di domenica mattina, come si faceva prima: avvicinarsi a quella zona un po’ defilata, calpestare pavimenti in parquet puzzolenti e scricchiolanti, salire fino a un terzo piano illuminato dal sole, farsi un po’ smarrito, passando per cose d’altri tempi, fregi allegorici di stucco dorato, uno scorcio di torcoli, torchi e segni di zecca ottocenteschi, tra il misterioso e il plumbeo. Senza code né controlli aeroportuali, con visitatori disordinati e con famiglie di madrileni con passeggini e bambini (questa mostra, il giorno in cui sono stata lì, ha incantato i bambini, ovviamente, e le guardie delle sale si sono prese il tempo per spiegarglielo e chiacchierare) con loro).

Ormai, dopo 60 anni di lavoro, Liliana Porter è già un classico moderno indiscusso. Tanto che in un documentario su di lei la critica argentina María Paula Zacharias osserva che di molte situazioni e oggetti di uso quotidiano si può dire “questo è molto Porter”. E ovviamente è l’atmosfera peculiare e carica delle stanze della Zecca, molto lontana dalla pretenziosità dei mega-musei instagrammabili e dall’asepsi internazionale dei cubi bianchi intercambiabili. Un museo con un’aria di ritmo che calza a pennello con la mostra e con l’artista: ha la stessa coloratura emotiva, obliqua e sfuggente, lo stesso umorismo leggero e serioso. Visitarla fuori dai soliti circuiti è già una “situazione” interessante, come quelle che lei stessa intitola e realizza in molte delle sue installazioni, performance, nature morte, cortometraggi e perfino opere teatrali: basate sull’accostamento intrigante, tra umoristico e malinconico ., di tecniche disparate e oggetti irregolari, vecchie bambole, vecchie cartoline, cianfrusaglie varie.

'Arruga (Ambiente delle rughe)', (1969-2024), di Liliana Porter.
‘Arruga (Ambiente delle rughe)’, (1969-2024), di Liliana Porter.Jaime Elechiguerra

Agustín Pérez Rubio sfrutta appieno la struttura dello spazio per curare un’antologia ponderata e concisa. Propone di intrecciare una produzione decennale del lavoro fondamentale di Porter con l’incisione e il lavoro grafico. È stato fondamentale per lei da quando, arrivata da poco dall’Argentina, ha fondato The New York Graphic Workshop con Luis Camnitzer e José Guillermo Castillo nel 1965, nella stessa città dove avrebbe vissuto per decenni. Gli anni più concettuali hardcore e Porter spogliò la tecnica delle sue associazioni antiquate con virtuosismo e preziosità per concentrarsi sulle sue capacità di riproduzione indefinita, sulla sua aridità antidrammatica, sulle sue implicazioni democratiche (e politiche). Da lì, e aggiungendo piccole installazioni, disegni e poesie visive inclassificabili basate su oggetti ritrovati, il percorso attraverso le stanze si sviluppa attorno a temi fondamentali e ricorrenti per Porter: i gesti e le loro tracce, le nature morte, vanità e le nature morte, gli agguati e i trompe l’oeil della rappresentazione.

E il tempo, ovviamente, che lo ha sempre ossessionato: come rappresentarlo, apprenderlo, evocarlo, come tradurre la sua simultaneità nel nostro linguaggio lineare, nel nostro modo irrimediabilmente successivo di viverlo. È molto bene, quindi, che le sale evitino l’ordine cronologico della consueta retrospettiva e propongano un percorso circolare, a favore o contro il senso orario (meglio farlo in entrambi i sensi). Per coloro che fino ad ora non conoscevano il lavoro di Porter, un’opera simile Situazione con coniglio levitante (2008) è un buon emblema e compendio: su una superficie bianca astratta, come in un misterioso e beffardo dipinto della Storia, sono sparsi cannoni e soldatini che sembrano giganti in contrasto con altri ancora più piccoli, cavalli e cavalieri persi nella neve , grovigli di fili, bambole dell’infanzia così cariche di aura e di significato latente da ricordare gli album di figurine e la Betty Boop di pezza che inducevano all’estasi Eusebio Poncela e Cecilia Roth in Rapimento. Il film di Zulueta esplora lo stesso percorso dell’andare e del non tornare e disegna la mappa di un territorio simile e ghiacciato, pieno di seduzioni e pericoli. Anche noi possiamo passare ore a guardare le opere di Porter, affascinati come fossimo bambini.

'Senza titolo' (1973-2012) nella mostra 'Huellas y vestigios', a Madrid.
‘Senza titolo’ (1973-2012) nella mostra ‘Huellas y vestigios’, a Madrid.Jaime Elechiguerra

Nello stesso documentario Porter afferma che un’altra delle questioni fondamentali del suo lavoro è la tensione tra la realtà e la sua rappresentazione, tra “parole e cose”. Cita così, a modo suo, il titolo del libro di Foucault che usò come epigrafe in quel Emporio celeste della conoscenza benevola immaginato da Borges, il enciclopedia cinese fittizio e ineffabile che classificava gli animali come “(a) appartenenti all’imperatore, (b) imbalsamati, (c) addestrati, (d) maialini, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani sciolti, (h) compresi in questa classificazione, (i) che tremano come matti, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un finissimo pennello di pelo di cammello, (l) ecc., (m) che terminano di rompere il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche”. E quell’elenco di cose incongrue, impossibili giustapposte, sembra anche un catalogo ragionato dell’opera di Porter.

Lei stessa ha citato spesso Borges nel suo lavoro e condivide con lui la stessa nozione di tempo speculare e circolare, la stessa stranezza di fronte alle cose quotidiane che diventano irreali e spettrali non appena le si estrae dal loro contesto e le si guarda accuratamente. . È lo stesso sguardo, lo stesso modo di stare al mondo, la stessa comprensione istintiva della simultaneità e dell’assenza di gerarchie di tutto ciò che è reale che tutti abbiamo avuto da bambini e che abbiamo perso quando siamo diventati adulti. Baudelaire diceva che il genio non è altro che “l’infanzia recuperata a volontà”, ed è qui che va il lavoro di Porter: enigmatico e magnetico, ci ricorda che solo attraverso l’arte possiamo recuperare l’assoluta serietà con cui giocavamo e vivevamo da bambini .

‘Tracce e vestigia, Liliana Porter’. Menta. Madrid. Fino al 9 marzo.



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Luca

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