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Maria Nicolau: Castagni in autunno, gli ultimi ‘foodtrucks’ | Gastronomia: ricette, ristoranti e bevande



Cucinare è la piccola e semplice azione di preparare gli ingredienti da mangiare. Gli esseri umani cucinano perché non siamo bruchi, lumache o capre, e non abbiamo un apparato digerente pronto a fermarsi a sgranocchiare la prima erba che appare in una fessura del marciapiede. Non abbiamo lo stomaco dei ruminanti, né gli incisivi dei conigli, né il gozzo spaccasassi dei polli, né i potenti acidi gastrici degli avvoltoi carnivori. Inoltre non abbiamo l’autonomia delle piante: non sappiamo come mangiare la luce del sole.

Siamo fragili e deboli. La metà del nostro processo digestivo deve avvenire al di fuori del corpo. Altrimenti siamo perduti. Nella pentola ammorbidiamo ciò che è duro, estraiamo e trasformiamo in potabile ciò che è nascosto dentro ossa e gusci corazzati, idratiamo ciò che è secco, evochiamo calore, acidi ed enzimi in un’alchimia che trasforma in cibo ciò che non lo era. Abbiamo inventato il formaggio di capra per poter mangiare le ortiche senza bruciarci la bocca, facendole passare attraverso il corpo delle capre. Siamo solo un altro sistema digestivo in un universo composto da esseri che sono tutti agenti alimentari e, allo stesso tempo, suscettibili di essere mangiati, in una ruota infinita di vita e morte in cui dipendiamo tutti gli uni dagli altri.

La cultura salva noi umani dall’essere fagocitati e sterminati. Come saggiamente racconta la Morte Mortedi Terry Pratchett: “Siamo solo una specie di primati molto fortunati che cercano di comprendere le complessità della creazione attraverso un linguaggio che si è evoluto in modo da poterci dire dove fosse il frutto più maturo.” Intorno al fuoco della cucina, aspettando che finisca lo spezzatino, ci raccontiamo come è andata la nostra giornata. Nella tribù umana ci guardiamo, parliamo e decidiamo chi mangia prima e chi lo fa dopo; Valutiamo quali vite individuali sono più necessarie per la sopravvivenza del gruppo nel suo insieme e quali non sono così necessarie. Stabiliamo le gerarchie. Riflettiamo su cosa sia quel bagliore che ha squarciato la cortina nera del cielo nel cuore della notte, disegniamo simboli ed erigiamo dei, religioni, tabù, miti e leggende. Costruiamo sistemi giuridici ed economici per regolare la protezione e lo scambio di cereali e raccolti e il lavoro che li accompagna. In base a ciò che ci danno il territorio e il tempo, organizziamo villaggi e calendari. Poiché siamo animali che si nutrono, cuciniamo. Poiché cuciniamo, siamo esseri culturali.

E la natura, la madre amorevole e sapiente di tutte le sue creature, ha tutto molto ben pensato. In autunno, ad esempio, ci invita a permettere ai carotenoidi, responsabili dei colori marrone, ocra e arancio che dipingono le foreste, di invadere la tavola. I toni lucidi della coda di scoiattolo di funghi, castagne, patate dolci, cachi e mandarini servono sia ad avvisare i mangiatori di frutta che la cena è matura, sia a proteggere la clorofilla e l’intero meccanismo fotosintetico dall’azione dannosa sia della luce stessa che delle scorie chimiche che ne derivano. da quelle reazioni leggere con cui la pianta prepara la colazione.

In autunno, quando le ore di luce diminuiscono e il verde si attenua, emergono i toni arancioni e rossastri, che, dopo aver compiuto la loro missione nelle piante, ci vengono offerti per essere mangiati: quei carotenoidi si trasformeranno in vitamina A nel nostro intestino. Quella vitamina A viaggerà fino ai nostri occhi per essere incorporata nelle molecole recettoriali che rilevano la luce e ci permettono di vedere. Ciò accadrà proprio ora che la notte sta guadagnando terreno. Proprio adesso, che è il momento in cui ne abbiamo più bisogno. Che perfetta sincronicità.

Al grido di “Chi compra le fragole?”, i venditori ambulanti all’inizio del secolo scorso inauguravano la stagione del bel tempo e la nascita della luce e dell’anno naturale: la primavera. Le ragazze delle fragole avevano fama di essere donne giovani e spudorate, voluttuose come i frutti profumati, cremisi e succosi che portavano nel cesto e che offrivano impudentemente ai passanti. La supremazia del mondo vegetale è in quella fragola, perfetta arma di seduzione; Sarà un animale che farà il lavoro di spargere i semi affinché la pianta prosperi. Non ha bisogno di muoversi: il futuro le viene incontro.

Dall’altra parte del calendario, in autunno, la sensualità dei venditori di fragole lasciava il posto al cupo mormorio dei castagni. Il primo annunciava tempi luminosi e offriva frutti freschi, multicolori, dolci e piccanti come i dolci della natura. Il secondo testimoniava la fine della luce e l’avvento dei giorni brevi, dell’oscurità e del freddo.

La vecchia vestita a lutto che alla fine dell’anno vendeva caldarroste, da giovane aveva venduto fragole. Racchiudeva nella sua figura lo scorrere delle stagioni, la ruota del tempo, il ciclo della vita umana. Con esso hanno cambiato lo spettro sonoro, olfattivo e gustativo del paesaggio urbano. I castagni sono uno degli ultimi canali di stretto legame con la natura che ci sono rimasti; un mezzo per scambiare informazioni concrete su dove siamo, chi siamo e in quale periodo dell’anno incontriamo l’ambiente naturale. Ultimo camion di cibo legittimo, come gli animali cuochi e culturale. Il resto, tentativi falliti di dimenticare ed evocare il miraggio di vivere, plastificato, fuori dalla dimensione temporale – tangibile, viscerale e deperibile – della vita.



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