Macron nomina primo ministro François Bayrou per chiudere la crisi politica francese | Internazionale
La soluzione alla crisi, ovvero la manovra per fermare l’emorragia che sta dissanguando in questi giorni il mandato del presidente Emmanuel Macron, si chiama François Bayrou ed è il leader del partito di centrodestra Movimento Democratico (MoDem). Sarà lui il nuovo primo ministro francese e colui che dovrà ricucire le ferite degli ultimi mesi, che hanno accentuato la profonda divisione che le elezioni legislative di luglio hanno lasciato in Parlamento.
Bayrou, 73 anni, come il suo predecessore Michel Barnier, deve ora formare un esecutivo e un programma che rispetti gli equilibri diversi e che permetta di evitare maggioranze all’opposizione capaci di rovesciare nuovamente il suo governo. La Francia ne ha bisogno per uscire dal pantano politico e finanziario e approvare una nuova legge di bilancio. Macron, che Bayrou aveva già aiutato a vincere nel 2017, ne ha bisogno per mettere a tacere il crescente rumore che chiede le sue dimissioni.
Alle 8,30 del mattino Bayrou, sindaco di Pau, vecchia volpe della politica francese, è entrato all’Eliseo per fare colazione con Macron. Nessuno allora conosceva ancora le intenzioni del Presidente della Repubblica, che sempre più spesso prende le decisioni da solo e all’ultimo momento. La suspense era totale. Ma a quel punto, un’ora e mezza dopo, mentre sul tappeto rosso di Matignon già si preparava il passaggio dei poteri e gli operatori non sapevano a che altezza alzare il microfono per il potenziale primo ministro, non c’erano dubbi. Bayrou, uomo di dialogo e di convinzioni piuttosto fluide, tre volte ministro, incarna una terza via, una cerniera molto utile tra destra e sinistra in un momento in cui il Governo dovrà ampliare la propria base di appoggio per evitare nuovi deragliamenti. Il paesaggio che dovrai attraversare, però, non sarà piacevole.
Instabilità
La Francia è ora ufficialmente uno di quei paesi capaci di naturalizzare l’instabilità: quattro primi ministri nel 2024, un record davanti al quale impallidiscono titani delle crisi politiche come l’Italia. Il governo precedente, guidato dal conservatore Michel Barnier, durò solo tre mesi: il più breve della Quinta Repubblica. Il suo esecutivo è stato vittima di una mozione di censura due settimane fa. Da allora, il Paese ha dovuto affrontare ancora una volta molteplici problemi con un governo ad interim, proprio come è avvenuto durante l’estate scorsa. La mancanza di maggioranze chiare in Parlamento e la volontà di Macron di ignorare il risultato elettorale delle ultime elezioni legislative che hanno dato la vittoria al Nuovo Fronte Popolare (l’alleanza che componeva la sinistra) hanno lasciato l’Esecutivo in una situazione di estrema fragilità e nella mani dell’estrema destra.
La prima occasione che ha avuto il partito di Marine Le Pen, l’approvazione del bilancio, è bastata per liquidare Barnier e la sua squadra. La cosa inquietante è che nessuno sa quanto durerà il nuovo artefatto guidato da Bayrou, il cui profilo non è piaciuto alla sinistra.
Al di là del nome del primo ministro e dei 48 deputati di cui dispone il suo partito, la novità è l’isolamento in cui Macron ha gettato i due estremi ideologici del Parlamento: La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, e l’estremo a destra del Raduno Nazionale di Le Pen. Una piccola vittoria per il capo dello Stato, ridotto nei giorni scorsi a mero arbitro di una partita poco attraente. Ma la mossa, che gode di una maggioranza molto fragile, consentirebbe al nuovo governo di avanzare almeno fino al prossimo giugno, data in cui l’Assemblea potrebbe essere nuovamente sciolta (la Costituzione non consente che ciò avvenga più di una volta in un anno). un anno), quando le carte sarebbero state nuovamente mescolate.
L’altra novità è la disgregazione di fatto del Nuovo Fronte Popolare, il dispositivo elettorale che ha unito la sinistra nelle ultime elezioni (principalmente LFI, Partito Socialista, comunisti e ambientalisti). I socialisti, pur avendo votato a favore della mozione di censura che ha deposto l’ex primo ministro Barnier, si sono stancati del perenne rifiuto di Mélenchon di costruire un’alternativa e hanno deciso di avviare negoziati con Macron. Seguono gli ambientalisti e i verdi, che hanno promesso di non votare la mozione di censura se il nuovo governo rinunciasse ad approvare, attraverso l’articolo 49.3 della Costituzione, le misure che adotterà tramite decreto. Di fatto, quella è stata la causa scatenante dell’ultima crisi: Barnier ha voluto utilizzare quella risorsa per approvare i bilanci.
La Francia deve ora premere l’acceleratore per formare l’Esecutivo e lavorare su una nuova legge di bilancio. Al momento, il paese opera con una legge speciale che gli consente di gestire gli affari correnti e con un’estensione dei conti precedenti che aumenterà l’elevato deficit del paese più del previsto.
Pallone ad ossigeno per Macron
La nomina di un nuovo primo ministro è un’ancora di salvezza per Macron, che ancora una volta ha un parafulmine per superare la tempesta che sta colpendo la Francia. Il problema è quanto durerà questa nuova protezione. Sia l’estrema destra di Le Pen che la Francia Ribelle di Mélenchon cercheranno con tutti i mezzi di rovesciare nuovamente il nuovo esecutivo. “Non resisterà a tre mozioni di censura, e l’idea di Le Pen è di provocarle prima del 30 marzo, data in cui potrebbe essere squalificata e non potersi candidare alla presidenza”, dice chi è stato consigliere di Macron e oggi lo fa non capire la direzione che hanno preso le loro decisioni.
La debolezza di Macron, che giovedì ha dovuto abbreviare il suo viaggio in Polonia per far fronte a problemi interni che minano la sua credibilità all’estero, si esprime su tutti i fronti. Anche la trattativa tenuta con tutti i partiti, sulla concessione del diritto di veto a un partito come gli ecologisti, che conta 17 deputati, parla di un presidente della Repubblica la cui forza non corrisponde più ai poteri quasi monarchici concessi dal V regime. L’immagine di Macron che riceve tutti i capi di Stato che hanno partecipato all’inaugurazione di Notre Dame lo scorso fine settimana senza primo ministro né esecutivo o anche la sua apparizione con il primo ministro polacco, Donald Tusk, parlando della pace in Ucraina quando la Francia è stata flirtare con il caos per settimane, non proietta nulla di buono per il Paese.
La situazione di questi mesi è il risultato dell’esito delle ultime elezioni legislative, in cui il Parlamento è stato frammentato in tre blocchi quasi uguali. Il Nuovo Fronte Popolare (NFP), l’alleanza composta dalla LFI di Mélenchon, da socialisti, comunisti e ambientalisti, ha ottenuto 182 deputati su 577, ma è rimasto molto al di sotto della maggioranza assoluta di 289. Il blocco presidenziale, composto da tre partiti di centro e centrodestra, ottenuti 168; e l’estrema destra RN, 143. Il partito di Le Pen, nonostante sia arrivato terzo in quel blocco, è diventato l’arbitro della contesa quando il presidente Macron non ha trovato una maggioranza assoluta stabile in Parlamento.