Site icon La terrazza Mongardino

Limitare l’azione popolare, ma non così | Opinione



Il gruppo parlamentare socialista ha depositato al Congresso una proposta di legge organica che limita il più possibile l’esercizio della procura popolare nei procedimenti penali. L’iniziativa contiene una dichiarazione coraggiosa: “Garantire e proteggere i diritti fondamentali contro le molestie derivanti da azioni giudiziarie abusive”. La Costituzione stabilisce che ogni cittadino può agire penalmente senza dover essere stato leso dal reato in questione. Questo diritto è quello che oggi viene limitato con il pretesto che sono emersi settori “autoritari” che cercano “l’esclusione dalla vita pubblica di coloro che sostengono posizioni contrarie”, settori che abusano dell’accusa popolare per avviare processi contro i suoi avversari.

Il PP cerca di screditare l’iniziativa definendola Legge Begoña per capire che è stato presentato con l’obiettivo di liberare la moglie del presidente del governo dal procedimento in cui è imputata, attivato da un’accusa dell’ultra pseudo-sindacato Mani Pulite, che ha presentato una denuncia basata su ritagli di giornale ciò non ha dimostrato alcun reato e si tratta di notizie direttamente false. Il giudice l’ha ammessa al procedimento e per 10 mesi ha cercato, senza successo, qualsiasi prova contro Begoña Gómez. Il Pp, indignato in questi giorni, è lo stesso che tentò di promuovere una riforma simile nel 2017 per evitare “l’utilizzo perverso e spurio della figura criminale di accusa popolare per fini esclusivamente politici”. Allora il PSOE era contrario. Ora si propone di escludere dall’azione penale i partiti politici e le associazioni o fondazioni ad essi collegate, limitare le fattispecie di reato in cui può essere attivata e fare in modo che solo chi abbia un interesse diretto nella vicenda possa esercitarla per evitare il giudiziarizzazione della politica.

Non esiste nel diritto europeo una figura equivalente all’azione popolare. La Spagna è l’eccezione. I suoi difensori sostengono l’importanza che i cittadini possano partecipare al processo giudiziario: ci sono cause che senza il loro incoraggiamento avrebbero fatto meno progressi, come ad esempio Caso Gürtel. Ma il modo in cui avviene questa partecipazione è un dibattito necessario e aperto già da tempo. Così come è regolamentata oggi, l’accusa popolare diventa un problema quando i giudici non ne impediscono l’uso abusivo. Le associazioni giudiziarie si oppongono a tale limitazione, ma evitano l’autocritica. Spetta ai giudici evitare lo spettacolo di alcune disposizioni che danneggiano solo l’immagine della giustizia.

Il grosso problema della riforma è il contesto in cui viene proposta e alcuni suoi dettagli, a cominciare da una motivazione che dovrebbe essere più sobria, meno conflittuale. Molti degli esempi dell’uso perverso sopra menzionato riguardano oggi parenti del Presidente del Governo che sono coinvolti in procedimenti penali privi di fondamento, ma che i giudici inquirenti prolungano inutilmente. È inevitabile che l’iniziativa sembri destinata a cancellare queste accuse abusive. Da quel punto di vista, non potrebbe essere più inappropriato. Inoltre, riformare una legge organica che incide su un diritto riconosciuto dalla Costituzione è troppo delicato per essere trattato come un disegno di legge, cioè senza il controllo preventivo di organismi come il CGPJ, il Consiglio di Stato o il Consiglio di Bilancio.

L’iniziativa parlamentare fallisce anche nella sua unica disposizione transitoria, secondo la quale la riforma, una volta approvata, verrà applicata “ai processi in corso”, aggiunta maldestra e gratuita: poiché è vantaggiosa per l’imputato, verrebbe applicata immediatamente. L’odore di una proposta architettata per favorire i casi che toccano chi la propone è così intenso che, se dovesse iniziare l’esame al Congresso, il primo emendamento necessario sarebbe quello di eliminare quella disposizione.



source

Exit mobile version