L’anno prossimo oltre 11 milioni di pensioni aumenteranno almeno del 2,8%. Questa rivalutazione corrisponde all’aumento dell’inflazione media dell’anno ed è calcolata dopo aver conosciuto questo giovedì l’avanzamento dell’indice dei prezzi al consumo per il mese di novembre: i prezzi sono aumentati del 2,4% su base annua, sei decimi in più rispetto al mese precedente, a causa l’aumento dei prezzi dei combustibili e dell’elettricità, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE). Questi dati sono stati necessari per calcolare la formula di rivalutazione delle pensioni inclusa nella legge dopo la riforma del 2021. Nello specifico, la percentuale di aggiornamento delle pensioni si trova determinando l’inflazione media annua tra dicembre 2023 e novembre 2024, sia dopo i dati sull’evoluzione dei prezzi che dopo la riforma. i dati conosciuti questo giovedì si attestano al già citato 2,8%. Questo aumento non è ancora definitivo, poiché l’INE ufficializzerà l’IPC di novembre solo a metà mese, anche se di solito non varia praticamente per niente.
La rivalutazione delle pensioni del 2,8% per il prossimo anno significherà circa 600 euro in più all’anno per i pensionati con una pensione media, mentre le pensioni medie del sistema aumenteranno di circa 500 euro all’anno. Di questo aumento andranno a beneficio i quasi 9,3 milioni di persone che percepiscono 10,3 milioni di pensioni contributive, oltre alle 720.148 pensioni corrispondenti al Regime statale delle classi passive, che saranno anch’esse rivalutate con lo stesso indice.
Pertanto, gli oltre 9,3 milioni di beneficiari di pensioni della Previdenza Sociale (di cui circa un milione ricevono due pensioni) e i dipendenti pubblici che percepiscono 720.148 pensioni di classi passive vedranno la loro prestazione aumentata di questo importo in generale. Tuttavia, le persone che percepiscono pensioni minime e non contributive riceveranno prevedibilmente un aumento maggiore, che il Governo dovrà ancora fissare, in conformità con l’ultima riforma delle pensioni del 2023 e in virtù della raccomandazione 15 del Patto di Toledo, che avvisa che queste pensioni più basse i benefici aumentano a un ritmo maggiore rispetto al resto. Ciò è accaduto nel 2024, quando la maggior parte delle pensioni è stata rivalutata del 3,8%, secondo il CPI, mentre le pensioni minime e non contributive sono aumentate del 6,9%.
Sempre in ottemperanza alla legge, il prossimo anno sarà il terzo anno in cui le pensioni verranno aggiornate in base all’evoluzione dei prezzi per garantire che i pensionati non perdano mai potere d’acquisto: nel 2022 sono state aggiornate del 2,5%; Nel 2023, anno della grande crisi inflazionistica, sono aumentati dell’8,5% e nel 2024 del già citato 3,8%. La Previdenza Sociale non stimerà il costo della rivalutazione finché non saranno pubblicati i dati ufficiali dell’IPC di novembre, ma se consideriamo che ogni punto sul libro paga delle pensioni costa circa 2.000 milioni di euro (200 milioni al decimo), l’aumento del 2,8% Nel 2025 costerà quasi 6.000 euro. A questo importo dovremo aggiungere i maggiori aumenti delle quote minime e non contributive, qualora si verificassero. Nel 2024 il costo di questo aggiornamento, pari al 3,8%, è stato di 7.300 milioni di euro, per le sole pensioni contributive, e ha superato gli 8.000 milioni con il maggiore incremento delle pensioni minime e non contributive.
Altri cambiamenti pensionistici
Questi dati CPI indicano anche di quanto aumenterà la pensione massima, a seconda delle ultime riforme pensionistiche, che passerà da 3.174 euro al mese (in 14 rate) a quasi 3.300 euro al mese. E anche di quanto verrà alzata la base contributiva massima, che salirà a 5.000 euro (60.000 euro annui). Pertanto, questa rivalutazione delle prestazioni non sarà l’unico cambiamento delle pensioni per il 2025. L’anno prossimo continueranno ad essere attuate le ultime riforme del sistema attuate dal 2011, quando si è deciso di estendere progressivamente l’età pensionabile legale fino a raggiungere i 67 anni. . a partire dal 2027 e sono state approvate altre misure parametriche per restringere l’accesso al 100% della pensione. Le riforme successive hanno inoltre reso più restrittivo l’accesso al pensionamento anticipato e hanno incoraggiato il ritiro dalla pensione.
Sulla base di tutte queste riforme, nel 2025 l’età pensionabile legale sarà fissata a 66 anni e 8 mesi (rispetto ai 66 anni e 6 mesi del 2024) per coloro che hanno meno di 38 anni e 3 mesi di contributi. Chi ha più anni di contributi potrà andare in pensione a 65 anni.
Tra le cose che non cambieranno nel 2025 c’è il numero minimo di anni necessari per avere diritto alla pensione pubblica, che continuerà ad essere di 15 anni (due dei quali nei 15 anni precedenti la data del pensionamento). Con 15 anni di contributi si avrà accesso al 50% della base regolamentare, mentre per avere diritto al 100% di detta base continueranno a essere richiesti gli stessi anni 2024, poiché sarà necessario aver contribuito almeno 36 anni e 6 mesi. A partire dal 2027 saranno necessari 37 anni di contributi per accedere al 100% della base normativa. Allo stesso modo, per calcolare la base regolamentare verranno presi in considerazione i 25 anni di contributi precedenti al momento del pensionamento.
Un anno dopo, a partire dal 2026, entrerà progressivamente in vigore il nuovo metodo di calcolo della base regolamentare, in cui si sceglierà tra due opzioni (25 ultimi anni di contributi oppure 29 anni, eliminando i due anni peggiori), la la migliore soluzione per il lavoratore.
La base massima sarà vicina ai 5.000 euro al mese
Tuttavia, le riforme continueranno ad essere attuate sul lato del reddito, con nuovi aumenti dei contributi sociali. Nel 2025 aumenterà nuovamente il Meccanismo Intergenerazionale di Equità (MEI), che ha iniziato ad essere applicato nel 2023 e passerà dallo 0,7% della base regolamentare applicata nel 2024 allo 0,8% l’anno prossimo (questo contributo in eccesso viene distribuito tra il datore di lavoro che pagherà 0,66 e il lavoratore 0,14, che verrà trattenuto dallo stipendio). Questo aumento del contributo per gli imprevisti comuni aumenterà di un decimo ogni anno fino a raggiungere l’1,2% nel 2029.
Allo stesso modo, nel 2025 il destop delle basi contributive massime. Ciò consiste nell’aumentare progressivamente la base salariale soggetta ai contributi di previdenza sociale e, con ciò, aumenta il reddito del sistema, poiché ogni anno che passa tale base imponibile aumenta. Nello specifico, la prima fase della riforma pensionistica della precedente legislatura prevedeva che fino al 2050 le basi contributive massime salissero in misura pari al CPI medio annuo con il quale si rivalutano le pensioni più un importo fisso di 1,2 punti. In questo modo, la base contributiva massima per il 2025 aumenterà prevedibilmente del 4% nel 2025, fino a sfiorare i 5.000 euro al mese (60.000 euro all’anno). Nel 2024 questa base massima è di 4.720,5 (56.646 all’anno).
Tuttavia, le pensioni massime a cui hanno diritto i lavoratori nella fascia di contribuzione elevata non aumenteranno nella stessa proporzione delle loro basi. Secondo la stessa riforma, queste pensioni massime aumenteranno, come le altre, con l’IPC medio annuo, più lo 0,115% annuo, che si accumulerà fino al 2050. Da quell’anno fino al 2065, le pensioni massime dovranno aumentare quanto necessario affinché In quell’anno aumentarono del 20%. Da parte sua, nel 2050 l’aumento cumulato delle basi contributive massime farà sì che esse siano cresciute del 38%, 18 punti in più rispetto alle pensioni che hanno generato.
Inoltre, dal 1° gennaio 2025, anche la Previdenza Sociale inizierà a riscuotere il nuovo tassa di solidarietà che verrà applicato alle buste paga che superano la base contributiva massima, sulla parte della retribuzione attualmente non versata. Anche la commissione sarà progressiva e verrà applicata in tre tranches. Per gli stipendi che superano la base massima del 10%, per quelli che superano detta base del 50% e per quelli che la raddoppiano. Questa tassa non genererà diritti alla pensione.