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Lasciamo Dio fuori – 10/12/2024 – No Corre


La registrazione era pulita, invitante e il presentatore (forse lo stesso fondatore della chiesa di Lagoinha) accattivante. Ero a Belo Horizonte in viaggio di lavoro e ho acceso formalmente la TV del quasi-hotel per trovare, sulla stazione della chiesa, questo ragazzo che parlava amabilmente della razza e del suo uso nei Vangeli, soprattutto nelle epistole dell’Apostolo.

La conduttrice non ha nascosto la fonte. Capitoli e versetti erano inflessibili, come quando Paolo si rivolge ai Corinzi per dire in modo molto esplicito che “tutti coloro che corrono nello stadio” sono sottoposti ad “un allenamento rigoroso”, ma tuttavia la sua corona “svanisce presto”.

Ma insieme a quelli che credono, insegna Paolo, ce ne sono altri cinquecento. “Noi – dice l’Apostolo – ci dedichiamo a conquistare una corona che duri per sempre”.

Sono apparsi molti altri brani, sia dell’Apostolo che di Giovanni, con mia sorpresa e, si potrebbe dire, ammirazione. Ma a differenza del pubblico dell’esegeta, per me non è la corsa come metafora che conta, e in questo caso preferisco che Dio e i suoi avatar stiano alla larga.

La frase qui sopra mi è sembrata alquanto spettacolare per via della piccola irritazione, o meglio, del piccolo fastidio che a volte provo osservando questo tipo di scene, soprattutto durante le manifestazioni podistiche. E, se davvero mi irritasse, si comporterebbe meno come un miscredente che, diciamo in portoghese corretto, come un noioso.

Spero di non portarmi dietro, per fortuna, questo rompiscatole cavalleresco, ancestrale, immune agli esorcismi e che prega intensamente. Degno del mio amico Sócrates di Comezinho.

Il mio punto è che, evocando Dio, Cristo o lo Spirito Santo, il corridore considera la corsa non come un’attività fisica salutare quale è, ma identificandola con un sacrificio eccezionale, un tributo terreno concesso all’Onnipotente che sa fare. ragione o no. Un ex voto sotto forma di sforzo fisico.

Ciò può avere alcune implicazioni: inizialmente, un apprezzamento ipertrofico della prova e, con ciò, una dedizione eccessiva, a volte a livello quasi patologico, in cui un eventuale ritiro potrebbe essere visto come debolezza di spirito o addirittura mancanza di fede.

Il vecchio “nessun dolore, nessun guadagno” al lavoro.

Per me correre è il primato del piacere. Fai allenamenti a intervalli, porta la frequenza cardiaca a livelli elevati di tanto in tanto, prova a fare uno sprint nei 200 metri che rimangono fino al traguardo di metà traguardo.

Lascia che provino a finire una maratona.

Ma non perdere di vista quella che, ripeto, secondo me e, spero, in quello di tanti altri appassionati, è l’essenza della corsa: il piacere.

Piacere che non inibisce, guarda, gli altri vantaggi della corsa: il condizionamento fisico, soprattutto cardiaco; mobilità eccezionale, che consente al corridoio di essere il proprio autobus turistico; la voglia di continuare a correre per tutta la settimana; l’inevitabile sensazione di benessere e felicità, vedi l’enorme paradosso, del “post”.

Le questioni di fede sono particolari e irriducibili, certo, ma qui provo a fare un ultimo tentativo: se ogni gara richiede un sacrificio, una dedizione enorme, come distinguere la finale di campionato dall’amichevole?


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