O STF (Corte suprema federale) ha fissato per il 6 dicembre l’inizio del processo d’appello dell’ex presidente Jair Bolsonaro (PL) quale visto lanciare Alessandro di Moraes del rapporto sul caso del complotto del colpo di stato del 2022.
Bolsonaro cerca di dichiarare il magistrato impossibilitato a riferire, agire e giudicare il caso, e deve trasmetterlo a un altro relatore. Secondo la difesa dell’ex presidente, il ministro ha riconosciuto di essere vittima degli episodi oggetto dell’inchiesta, che gli avrebbero impedito di prendere decisioni essendo coinvolto nelle indagini.
L’analisi dell’azione si svolgerà in una plenaria virtuale, cioè senza interazione fisica tra i ministri, che esprimeranno il loro voto nel sistema digitale della Corte Suprema. Uno dei membri può richiedere una revisione – più tempo per l’analisi – o un punto saliente, portando il caso in plenaria.
Il ricorso era già stato respinto a febbraio per decisione monocratica del presidente del tribunale, il ministro Luís Roberto Barroso. “I fatti narrati nella prima istanza non caratterizzano minimamente le situazioni giuridiche che rendono impossibile l’esercizio della giurisdizione da parte dell’autorità convenuta”, ha scritto.
Secondo il presidente della STF, “non è stata dimostrata con chiarezza alcuna delle cause giustificative dell’impedimento, previste tassativamente dalla normativa vigente”.
La tendenza della corte è quella di mantenere la propria comprensione e convalidare il rapporto di Moraes sul caso.
UN PGR (Procura Generale) ha concordato con l’intesa di Barroso in una dichiarazione datata 11 marzo. Ha affermato che la difesa di Bolsonaro non ha presentato argomenti per dimostrare la tesi secondo cui Moraes era coinvolto nelle indagini.
Ha sostenuto che l’azione non ha una vittima individuale, poiché l’attacco sarebbe contro istituzioni, come la magistratura, e il sistema elettorale, screditandolo.
“Nel ricorso ci si limita ad affermare che ‘l’onorevole Ministro relatore –ora autorità accusata– si considera e quindi si qualifica come vittima diretta della condotta indagata”, senza notare che la condotta indagata vede la collettività come una persona passiva soggetto, non una singola vittima”, conclude la Procura.