Il passato non si può recuperare, niente si ripete allo stesso modo, ma dai tempi di Ada Colau le autorità municipali sembrano intenzionate a recuperare lo splendore di quella che era la via del divertimento di Barcellona. Oltre al teatro, la musica costituisce oggi una potente attrazione del Paral·lel, con la sala Apolo come forza trainante, oltre al Paral·lel 62 che sta guadagnando spazio con la sua programmazione crescente e con lo storico El Molino come una sala che recentemente si è aggiunta all’offerta musicale. In attesa dei lavori di recupero dell’Arnau e con locali come Psycho, Rouge, La Federica o Laut tra gli altri, l’intrattenimento sembra crescere nella zona. Non si sa come sarà l’immediato futuro, ma gli anni più bui e degradati sono ormai alle spalle.
In quegli anni l’Apolo funzionava già come sala da ballo e da concerto, fu inaugurato nel 1943, ma è dagli anni Novanta in poi che si tenne al passo con i tempi e iniziò la storia che lo vede ancora protagonista. Dispone di due sale da concerto (capacità di 1.300 e 800 persone) che programmano quasi quotidianamente e di altri due spazi, La 3 e La Cinc dove, insieme alle prime due sale, prendono il volo fino a 8 sessioni periodiche di club con diversi temi musicali attorno ai DJ. specifico. Una terra di 3.000 balli che si svolge tutta la settimana. Alberto Guijarro ne è il direttore e assicura che “senza i club Apolo non sarebbe lo stesso” e afferma che “tra il 2005 e il 2015 la cultura del club ha avuto un declino dal quale ora si è ripresa”. La sua forza trainante, sottolinea, “è la moltitudine di gruppi esistenti desiderosi di programmare, molti dei quali legati al movimento LGTBIQ+”. Dal canto suo, Naiara Lasa, direttrice della programmazione dal 2011, rompe un luogo comune: “i più giovani vengono ai concerti, soprattutto per vedere il K Pop (pop coreano) e gli artisti fuori dai radar mainstream, sono grandi fan e non pagano affatto i biglietti economico tra 70 e 200 euro.” Entrambi spiegano che quando si tratta di K Pop la sala è divisa in due e i tifosi che occupano la prima fila pagano quei 200 euro perché sanno che i loro idoli si fermeranno lì a dargli il cinque. Lasa rivela una differenza con il pubblico di una volta “prima c’era più curiosità, adesso escono solo per vedere cose che conoscono molto bene, non c’è spazio per la sorpresa, che comunque si trova nei festival”.
Tra il 2005 e il 2015, la cultura del club ha subito un declino da cui ora si è ripresa grazie ai gruppi esistenti desiderosi di programmare, molti dei quali legati al movimento LGTBIQ+.
Alberto Guijjarro, direttore della Sala Apolo
Il lavoro di programmazione non è sempre facile e richiede un team giovane e al passo con le nuove tendenze. “Inoltre”, sottolineano Guijarro e Lasa, “dobbiamo verificare le questioni etiche degli artisti che non conosciamo per evitare l’intolleranza e l’omofobia, come nell’era del sala da ballo (stile musicale giamaicano), alcuni dei cui artisti ci hanno causato non pochi problemi all’inizio dell’ultimo decennio proprio a causa della loro omofobia.”
Del resto, Apolo accoglie tutti i tipi di pubblico, da meno di 20 anni e, a seconda dei casi, fino a sessanta, e ospita anche gli artisti (Rosalía, Morad, Ana Tijoux) che lavorano nello studio di cui dispone la sala. . Tutti verranno ora accolti da un Apollo androgino appena dipinto su una facciata dal prestigioso muralista Aryz. Naturalmente né Guijarro né Lasa credono all’effetto richiamo del Paral·lel: “ora il quartiere è più animato, la gente si sposta nel Raval o nel Poble Sec, ma non dicono ‘andiamo al Paral·lel’. Questo concetto appartiene agli anziani”, concludono. Hanno un programma chiuso per quasi tutto il 2025 e stanno già iniziando a lavorare sul 2026.
Paral·lel 62, ex Studio 54, già Café Español e Teatro Español, è gestito in cooperativa da circa due anni e la direttrice è Anna Cerdà, manager culturale di grande esperienza. “Non ho dimenticato che Mary Santpere ha debuttato qui”, dice, ed esprime la buona sintonia con le altre due sale della zona. Crede anche che oggi le cose non funzionino come ai tempi d’oro del Parallel: “Oggi i concerti e il tempo libero sono più pianificati, i biglietti si acquistano con mesi di anticipo e questo aspetto non ha un effetto a catena percettibile, e che ogni volta “C’è più atmosfera”.
Nelle sue due sale, da 1.500 e 200 persone, si è notato un incremento di pubblico rispetto allo scorso anno, da 156.000 a 184.000 presenze, con un parallelo aumento dell’occupazione (il 64% della programmazione registra tra 80 e 100 presenze) % di occupazione nella sala grande e 58% in quella piccola), ed in entrambe le sale la programmazione musicale è cresciuta del 10%. Paral·lel 62 ha una chiara vocazione al servizio pubblico espressa nelle collaborazioni con enti del quartiere come Xamfrà, il Centro Culturale Albareda e Impulsem, un gruppo di inserimento lavorativo che fornirà personale per lavorare nella stanza. La sua aspirazione è aumentare la presenza pubblica delle minoranze che vivono sia nel Raval che nel Poble Sec, anche se riconosce le difficoltà. “Ci sono aspetti economici, culturali e anche linguistici. Nella saletta facciamo sempre più attività e discorsi, legati alla musica non occidentale, alla diaspora africana, all’Oriente, al Maghreb, con qualche tocco dal Pakistan e dall’India”. Con il 2025 molto impegnativo, stanno già programmando per il 2026.
Chi si è poi unito a questa offerta musicale è El Molino che, come indicato da Víctor Partido, direttore del locale, “offre come massima attrazione la vicinanza del palco, la comodità dei tavoli e un programma ampio, lontano dal più commerciale, con il jazz, la world music, gli artisti locali e le proposte sperimentali che attraggono un pubblico più adulto come asse”. Dalla sua inaugurazione, poco più di un mese e mezzo fa, hanno programmato circa 40 artisti in un doppio spettacolo, eseguendo circa 80 concerti, e ora, dice il Partido, “è tempo di parlare con gli altri locali, di cui ho i gestori lo so già.” Partido, originario di Sant Boi, considerava Paral·lel come “il luogo dove i miei genitori venivano a trovare Paco Morán e, che mi piaccia o no, lavorare qui è come una responsabilità aggiuntiva”. Per lui, più che una destinazione, il viale è “un crocevia tra quartieri, uno spazio di attraversamento della città”.