La Corte Suprema ha negato il prepensionamento ad un dipendente del Banco Mare Nostrum che, dopo quasi quarant’anni di servizio, si era dimesso per aver rifiutato di accettare una decisione di trasferimento. La delibera chiarisce in questo caso che, per anticipare la data del pensionamento, la risoluzione del contratto deve essere dovuta a causa involontaria e l’operatore cessa liberamente.
Lo stabilisce una recente sentenza dell’Alta Corte (il cui testo è consultabile qui). La decisione tiene conto dell normative applicabili al momento della richiesta, prima della legge 21/2021, del 28 febbraio, garantendo il potere d’acquisto delle pensioni. Questa norma ha incorporato tra le cause che consentono il pensionamento anticipato “la risoluzione del contratto per volontà del lavoratore”. Pertanto oggi la sentenza sarebbe stata diversa.
Secondo i fatti accertati della sentenza, la lavoratrice prestava servizi per il Banco Mare Nostrum, SA dal 1978. Nel 2013, è stata inserita in un piano di misure di flessibilità interna per far fronte ad una crisi, che ha portato alla riduzione del suo orario di lavoro. ore e stipendio del venti per cento. Il piano conteneva anche misure di mobilità geografica, dato che erano previste la chiusura degli uffici e l’adeguamento dell’organico. L’azienda ha riconosciuto ai dipendenti il diritto di “estinguere il rapporto di lavoro con le condizioni delle ferie incentivate” qualora non fossero d’accordo con i trasferimenti.
Nel novembre 2014 la banca ha deciso di trasferire il dipendente. Essa doveva essere costituita entro un termine di 30 giorni presso la sede dell’ente in un comune di Albacete. La persona interessata, “insoddisfatta del trasferimento di incarico”, ha chiesto la risoluzione del suo contratto. Ha poi chiesto l’indennità di disoccupazione. Sebbene gli venisse pagata l’indennità di disoccupazione, dovette ricorrere in diversi casi al tribunale per far riconoscere vari concetti.
Cinque anni dopo, chiese il pensionamento anticipato, cosa che l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INSS) gli negò “perché la cessazione del lavoro non era avvenuta per motivi non imputabili alla libera volontà del lavoratore”. La donna ha presentato ricorso contro la decisione e, nonostante il Tribunale Sociale n. 10 di Malaga le abbia dato ragione in prima istanza (ammettendo il prelievo del 70 per cento sulla base regolamentare di 2.875 euro), la Corte Superiore di Giustizia dell’Andalusia ha revocato la decisione. risoluzione e gli negò nuovamente il pensionamento anticipato. Una decisione che ora viene confermata dalla Corte Suprema.
Riforma delle pensioni
I giudici dell’Alta Corte analizzano nella loro risoluzione la norma che allora regolava questo tipo di pensionamento. Tra i motivi per cui è stato consentito il pensionamento anticipato ai sensi dell’articolo 207 della Legge generale sulla previdenza sociale, in quella versione, non c’era “la risoluzione del contratto per la quale il lavoratore può optare in conseguenza di una mobilità geografica decisa dall’azienda”.
Secondo i giudici la giurisprudenza non poteva favorire i lavoratori che, dopo essersi dimessi, volessero andare in pensione anticipatamente. La Corte porta come esempio ben tre sentenze che, come in questo caso, negavano l’accesso al prepensionamento “quando il contratto di lavoro era stato risolto per mancato pagamento della retribuzione, su richiesta del lavoratore”.
Tuttavia, la Corte stessa riconosce che la situazione è cambiata dopo la riforma pensionistica del 2021. Una sentenza del 2024 in un caso simile si è pronunciata a favore del lavoratore.
In sintesi, prima della riforma del 2021, il prepensionamento era legato a un elemento essenziale: la natura involontaria della cessazione del rapporto di lavoro. Fino ad allora le cause che consentivano il pensionamento anticipato erano “valutate o chiuse”, precisa la sentenza. Per questi motivi la richiesta dell’ex lavoratore viene respinta.