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La “Buturuga” di Cișmigiu: la pittoresca taverna nel centro di Bucarest che è rimasta quasi la stessa da un secolo – Vechiul București

All’inizio del secolo scorso, quando era appena stato aperto, il pub “Buturuga” di Cișmigiu era considerato un centro del kitsch di Bucarest, essendo “una rozza imitazione” di un tronco d’albero fatto di cemento. Con il tempo, però, divenne uno dei pub più famosi e frequentati del centro città, grazie alla sua posizione e ai prezzi accessibili, e divenne famoso il fatto che il “Buturuga” era il luogo in cui quasi tutta Bucarest andava a bere una birra.

Più di 100 anni fa, nel centro di Cișmigi, sorse un pub atipico, ma perfettamente adatto a ciò di cui Bucarest aveva bisogno all’epoca. Si trattava del “Buturuga”, letteralmente un grande ceppo di cemento che da lontano sembrava un ceppo lasciato dall’abbattimento di un albero che assomigliava un po’ a Bucarest. Il “Buturuga”, considerato grossolanamente kitsch, godeva di molti clienti, per ragioni comprensibili: era un locale informale nel centro di Bucarest, con bevande a buon mercato, quasi da bassifondi.

“Buturuga”, il famoso pub di Cișmigiu e la sua storia

La storia del “Buturuga” inizia all’inizio del XX secolo, essendo “opera” di C. Dumitrescu-Tăranu, gestore di una taverna e padre del famoso N.D Țăranu, cofondatore della rivista “Furnica”, fondata nel 1904. Prima di aprire il “Buturuga”, Dumitrescu-Tăranu era stato proprietario di un’altra taverna, che si trovava a poca distanza dalla Locanda Gialla e dal Mahalaua Dracului e che, a suo dire, era tra le più apprezzate della città.

Alla “Buturuga” la gente apprezzava non solo la posizione, ma anche i prezzi: le bevande venivano vendute a prezzi notevolmente più bassi rispetto ad altri pub della zona, motivo per cui i tavoli non rimanevano a lungo senza camerieri e perché qui lavoravano molti camerieri, che facevano la spola tra i tavoli e la Buturuga, dove iniziavano le “piogge torrenziali” di vino e birra.

“Un intero esercito di camerieri, sotto l’energica guida di uno dei due patron, Nae Paysan (allint dal cognome Țăranu, di cui si usa la forma francese), abilmente coadiuvato dagli amici Panait Macri, Locusteanu e Aurel Marcu di “Voința Națională”, non riusciva a resistere agli ordini delle migliaia di clienti che avevano preso d’assalto le nostre consumazioni e soprattutto l’ottima birra della fabbrica del professore universitario N. Basilescu, l’eminente presidente della Repubblica industriale della nuova Bucarest. Durante questo periodo, il secondo patron, l’autore di queste righe, si aggirava come una lumaca tra i tavoli, controllando che il pubblico non subisse alcun inconveniente in termini di servizio, e in effetti i nostri avventori non soffrirono in quelle due memorabili serate se non per la sete, che siamo però sicuri di aver placato con la pioggia torrenziale di pinte e grappe (provenienti dalle cantine di Ciucanu, Calea Griviței)”., come descritto nella rivista “Ant”.

Chi veniva a “Buturuga” a bere birra, spritz e noccioline?

Con lo sviluppo e la crescita di Bucarest, cominciarono a comparire sempre più tipologie. C’erano, naturalmente, gli sfortunati, che non erano pochi e popolavano la periferia di Bucarest e i comuni circostanti, e all’altro estremo c’erano i borghesi che frequentavano i locali più selezionati della capitale. Tra le nuove “specie” di abitanti di Bucarest ricordiamo quelli dei bassifondi, che sembravano un po’ fuori dalla loro condizione, e quelli che arrivavano a Bucarest dalle province e che non riuscivano a trovarsi in nulla nella capitale. In poche parole, “Buturuga” era per coloro che non appartenevano a nessun posto, che erano in qualche modo i più grandi al tavolo dei piccoli, o i più piccoli al tavolo dei grandi.

All’inizio, il pub attirava il pubblico del teatro popolare e quello che passeggiava a Cișmigiu. Con il passare del tempo, cominciarono a venirci a bere i soldati e ogni sorta di braccianti e “servi”; l’immagine dei tavoli del “Buturuga” è stata immortalata dallo scrittore Henri Stahl nella sua opera “Bucureștii ce se duc”:

“L’unica attrazione del giardino per questo pubblico speciale è la banda di tamburellisti che suona la “Buturugă”, una rozza imitazione in cemento di un tronco d’albero, nella cui cavità si versano birra, brandy e limonata gassata. Intorno ai tavoli che si estendono dalla “Buturugă” al palco della banda militare, dove non si suona più musica da anni, un quarto della guarnigione di Bucarest, più gli inservienti, si affolla tra le cameriere, tenute a rispettosa distanza dai tavoli da un filo intrecciato di spine. In uniformi che strangolano il loro collo abituato a essere libero, le reclute qui ascoltano le sconcezze che vengono loro gridate con la voce di un grammofono rotto, ma con sfumature brevi e chiare a ogni parola, da una zingara birichina, con un grande fiore tra i capelli e le mani sui fianchi… Di tanto in tanto, come approvazione ammirata, imprecano contro i suoi sputi. Quando, però, la cantante tirò fuori il piattino coperto dal tovagliolo per iniziare il gioco, sebbene fossero rimasti fuori, si allontanarono tutti, con una vergogna curiosamente mista a delicatezza e sfacciataggine, e andarono al pozzo accanto per bere da una tazza di latta, quasi senza fondo e bucherellata. La povera fontana è talmente richiesta, dove dal naso di alcuni delfini sgorga un po’ d’acqua calda, che le punte aguzze della grata di ferro che la circonda si sono piegate sotto il peso dei corpi assetati che l’assaltano. Quando, però, i baristi cominciano a cantare la canzone alla moda, ‘Colea nella nursery’, e uno zingaro questa volta, roteando gli occhi, li richiama a ‘sospirare’ come ai vecchi tempi, visto che non osano sospirare oggi dove il pubblico è più magro, e tutti si accalcano nel filo spinato e ascoltano, guardando senza invidia quelli che bevono ai tavoli”.

“Al Buturuga regna l’alta vita della servitù”.

Per dimostrare quanto sia pittoresco e unico il mondo che vi si affaccia, Henri Stahl usa in “Bucureștii ce se van” un’espressione a dir poco sapida e pittoresca, affermando che al “Buturuga” i tavoli sono occupati prevalentemente dalla “vita alta dei servi”, cioè dai primi degli ultimi in termini di status sociale. Inoltre, ai tavoli del Buturuga, i maggiordomi potevano prendere in giro e imitare i loro “padroni” in tutta tranquillità, fingendosi gentiluomini e signore distinte.

“Qui al “Buturuga” regna l’alta vita della servitù della gleba: I nani delle banche, dei ministeri, del “Pappagallo”, dell'”Albero d’oro”, con i loro berretti di livrea, alcuni vestiti in tedesco; le loro ibovnice, con camicette di seta, rubate alla “cucoana”, gonne di spessa stoffa contadina e, sopra, un grembiule giallo; un orribile miscuglio di abiti regalati o dosati, e di vestiti ieftene comprati al Grande Mercato. Qui i servi scimmiottano i loro padroni: gli uomini siedono ai tavoli con aria seria, comandano al cameriere con autorità, con l’impudenza del servo al minimo come lui, bevono con calma, ma sbattono con forza il bicchiere vuoto sul tavolo; o troppo in fretta, alzando il gomito in alto; o troppo lentamente, con uno sguardo di rimpianto per il costoso liquido finito troppo in fretta; sono generosi all’assegno, alla mancia, e comprano fiori dagli zingari, offrendoli con aria dissoluta ai loro dolciumi. A uno dei tavoli, una cameriera, con la mano al collo dell’ibovnico, riempie di birra arachidi arrostite, cornetti salati e pan di zenzero”.

Con il tempo, i bohémien e le folle di persone che si recavano alla “Buturuga” trovarono altre terrazze e pub dove fermarsi per uno spritz e uno spuntino fino a tarda notte. Fortunatamente, anche se sono passati molti anni da quando il grande “Paysanul” l’ha fondato, il pub al centro di Cșmigi è rimasto quasi immutato e fa ora parte del “patrimonio” del giardino.

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Luca

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