In Brasile la lotta contro l’autoritarismo non è ancora vinta | Opinione
Dopo due decenni di dittatura militare, a partire dagli anni ’80 il Brasile è riuscito a consolidare una delle democrazie più stabili dell’America Latina. Tuttavia, questo risultato non è stato privo di sfide, di cui due incriminazione e un prolungato stress test istituzionale durante il mandato di Jair Bolsonaro, la cui amministrazione ha messo alla prova i pilastri della democrazia brasiliana come mai prima d’ora.
Nei suoi primi passi verso la normalizzazione democratica, il Paese ha dovuto affrontare la tragedia della morte di Tancredo Neves, leader della transizione e primo presidente civile. Successivamente ha vissuto episodi critici come i processi politici contro Fernando Collor de Mello e Dilma Rousseff, entrambi condotti pacificamente secondo le regole costituzionali. Queste sfide coesistevano con progressi significativi, come il Piano Real negli anni ’90, che ha permesso di stabilizzare l’economia e gettare le basi per conquiste sociali ed economiche durante i governi di Fernando Henrique Cardoso e Luiz Inácio Lula da Silva.
Tuttavia, l’ultimo decennio ha segnato un deterioramento della fiducia pubblica nella politica, alimentato da scandali di corruzione. Questo clima di indignazione ha portato all’elezione nel 2018 di Jair Bolsonaro, che si è presentato come portavoce dell’antipolitica e del malcontento sociale. La sua retorica, nostalgica del regime militare del 1964, e il suo discutibile impegno democratico fanno scattare l’allarme. Ciò che seguì fu un test estremo per le istituzioni brasiliane.
Durante i quattro anni del suo governo, Bolsonaro e i suoi alleati hanno utilizzato la libertà di espressione e i social network per promuovere la disinformazione di massa, con attacchi diretti alla democrazia e al sistema di voto elettronico, la cui integrità non è mai stata messa in discussione in tre decenni di elezioni. Questa strategia è culminata in una narrativa di colpo di stato che ha portato migliaia di brasiliani a diventare fanatici dell’idea di una frode inesistente.
Il potere giudiziario, in particolare la Corte Suprema, ha assunto un ruolo decisivo nella lotta contro la disinformazione e la retorica violenta, che cercavano di nascondersi dietro la libertà di espressione per giustificare crimini contro l’ordine costituzionale. Ciò includeva il confronto con campagne che promuovevano apertamente un colpo di stato sostenuto dai militari.
Il culmine è arrivato con le elezioni presidenziali del 2022, in cui Bolsonaro fu sconfitto da Lula da Silva, e con gli eventi dell’8 gennaio 2023, quando i bolsonaristi invasero e vandalizzarono la sede del Palazzo Presidenziale, del Congresso e della Corte Suprema, cercando di spianare la strada per un colpo di stato militare. Anche se l’insurrezione fallì, rivelò le profonde fratture politiche del paese.
Due anni dopo, nuove indagini della polizia evidenziano un elemento distintivo del caso brasiliano: la partecipazione del personale militare alla politica, cosa vietata dalla Costituzione del 1988. La recente accusa contro Bolsonaro e 36 collaboratori, di cui 25 militari in servizio o in pensione, e l’arresto del generale in pensione Braga Netto, candidato alla vicepresidenza nel 2022 e figura chiave del governo Bolsonaro, sono pietre miliari nella riaffermazione del potere civile e costituzionale in Brasile.
Tuttavia, queste sono appena battaglie vinte in una guerra che continua ancora. Le forze democratiche brasiliane si trovano ad affrontare nemici che usano la libertà di espressione come arma per indebolire le istituzioni e ripristinare un regime autoritario. Sotto falsi slogan e ricorrendo alla violenza retorica o reale, cercano di eliminare le libertà pubbliche e ripristinare un passato dittatoriale.
La lezione dal Brasile è chiara: la democrazia deve rimanere vigile, sia nel mondo virtuale che in quello reale. Di fronte a chi usa la libertà come scusa per minarla, la società e la Costituzione devono continuare a rispondere con fermezza: non c’è spazio per battute d’arresto. Il Brasile lo ha già dimostrato e può farlo ancora.
In questa lotta per difendere la democrazia, il ruolo di istituzioni come la Corte Federale Suprema (STF) e la Corte Elettorale Superiore (TSE) è stato cruciale. Ho visto in prima persona come entrambe le istituzioni abbiano agito come custodi della Costituzione, affrontando con fermezza i tentativi di disinformazione di massa e gli attacchi contro il sistema elettorale. Questo compito, però, non spetta unicamente alle istituzioni giudiziarie; Richiede uno sforzo collettivo in cui i cittadini, le organizzazioni della società civile, i media, gli imprenditori, i partiti politici e persino gli stessi militari svolgono un ruolo di primo piano.
In effetti, il rafforzamento della democrazia brasiliana è una responsabilità collettiva. Affrontare le minacce autoritarie, l’abuso della libertà di espressione come scudo per promuovere l’incitamento all’odio e la strumentalizzazione delle istituzioni militari richiede una vigilanza costante. Non basta difendere le conquiste democratiche; È necessario approfondirli, garantendo che i valori di giustizia, libertà e uguaglianza restino pilastri del sistema politico.
La difesa della democrazia brasiliana non è solo una questione interna. In un momento di recessione democratica a livello globale e regionale, una battuta d’arresto in Brasile avrebbe conseguenze devastanti, sia per il Paese che per l’America Latina. Il Brasile, in quanto colosso regionale, esercita un’influenza diretta sulla stabilità politica dei suoi vicini. Il consolidamento della sua democrazia non è solo vitale per il benessere della sua popolazione, ma anche per ispirare e rafforzare i processi democratici in altri paesi della regione.
Il Brasile ha dimostrato di poter resistere anche alle crisi più gravi, ma la lotta democratica contro le forze autoritarie è lungi dall’essere finita. Oggi più che mai la democrazia brasiliana ha bisogno dell’impegno dei suoi cittadini e del sostegno della comunità internazionale. Perché in gioco non c’è solo il futuro del Brasile, ma il destino democratico di tutta l’America Latina.