Il vortice delle batterie | Economia
L’attuale rivoluzione automobilistica si chiama elettrica a batteria. Così come il motore a combustione ha sostituito i tartani, così l’auto elettrica a batteria sostituirà quella a benzina. Tutta l’Europa vive questa effervescenza con notizie al tempo stesso promettenti (nuovi investimenti) e preoccupanti (il taglio di 35.000 posti di lavoro da parte della Volkswagen in Germania).
E la Spagna, seconda potenza automobilistica del continente, dopo la Germania, con particolare intensità. Questo trimestre ha visto due spinte notevoli: la decisione di Stellantis (Fiat/Chrysler/Citröen…) di installare un mega impianto di batterie a Saragozza – in gergo, una gigafactory da 50 GWh (gigawattora), energia per 500.000 veicoli -, con un investimento di 4,1 miliardi. E il lancio delle prime auto Ebro-Chery, tutte elettriche, della fabbrica ispano-cinese stabilita nella vecchia Nissan.
La stragrande maggioranza dei progetti di produzione di batterie sono cinesi: gli impianti di Stellantis saranno alimentati da quelli prodotti a Saragozza con CATL; quello dell’Ebro, di quelli portati da Wuhu da Chery. Cinese è anche Envision, che prosegue con il suo progetto a Cáceres. Tra gli europei, la VW di Sagunto; e quello della slovacca InoBat a Valladolid. E uno emergente, anche se lo fornisce già attivamente, spagnolo di origine basca, Basquevolt: ha la nuova generazione di batterie allo stato solido, più leggere, più economiche e con maggiore autonomia. In totale, potrebbero superare ampiamente i 100 GWh: tradotte, batterie per più di 1,2 milioni di auto elettriche.
La grande scommessa europea, dal 2017, è stata la avvio Northvolt svedese. Fondata da Peter Carlsson, ex dirigente di Tesla, è riuscita a raccogliere 15 miliardi da investitori privati e pubblici. VW lo ha sponsorizzato, prendendo il 21% del capitale e dandogli un mercato. Ma lo svedese, il cui prodotto era eccellente per alcuni e spregevole secondo gli esperti cinesi, non è riuscito a fabbricarlo alla velocità adeguata. Rinunciò agli impegni di fornitura, i tedeschi evaporarono. A novembre è fallita.
Ora Bruxelles, dopo aver tentato di frenare la concorrenza cinese attraverso la contestata tariffa del 35%, tenta di rispondere a questo errore e alla crisi generale del settore generata dalla scarsa domanda, con una roboante Dialogo strategicoa gennaio, coprendo tutto, dall’innovazione alla decarbonizzazione, al quadro normativo o alla strategia per aumentare la domanda.
Le amministrazioni più attente ai rischi climatici cercano di preservare la data del 2035 per l’eliminazione totale del veicolo a benzina (che oggi occupa l’85% del mercato, mentre in Cina solo il 47%). L’associazione europea dei datori di lavoro preme sulla Commissione e sui governi affinché proroghino i termini, evitino multe per inadempienze e ottengano maggiori finanziamenti anche per le auto a combustione, il che significherebbe sovvenzionare pubblicamente l’inquinamento e prolungherebbe la transizione. L’offerta di batterie è ancora scarsa, e quella di quelle europee è trascurabile, con il rischio che gli europei cedano il settore alla Cina, come hanno fatto con i pannelli solari.
La rete di connessione in Spagna è discreta, forse sufficiente, ma lenta nel caricamento e con molti buchi geografici. La propensione al cambiamento dei consumatori diminuisce, non solo per questo motivo, ma anche per il prezzo elevato e per il sospetto che la prima serie diventi presto obsoleta, visto il ritmo del progresso tecnologico. Esiste un’alternativa di sintesi? Forse andrebbe considerata una transizione più orchestrata per quanto riguarda gli ibridi, che ci avvicinino al futuro con meno orrore per il vuoto generato dalla rottura improvvisa del passato.