Enrique Vila-Matas: dopo aver rotto la carta del Barça | Calcio | Sport
Sono nato, ed ero già del Barça. Innanzitutto c’era il club. Dopo ci hanno battezzato. Ma quest’ultima cosa non servì, perché presto ci si rese conto che appartenere al Barça significava vivere nel peccato originale. Ne ho avuto conferma il giorno in cui, quando ero molto piccolo, mio padre, invece di portarmi a vedere il ghiaccio, mi portò allo stadio Bernabéu, a una partita di Real Madrid-Barcellona, e mi avvertì che, nel caso in cui accaduto, non mi verrebbe nemmeno in mente di festeggiare un gol del Barça. Perché potessi capirlo meglio, indicò il palco da cui il Generalissimo presiedeva la partita. Ho capito subito, non avevo mai capito una cosa così in fretta.
Un anno dopo venne inaugurato il Camp Nou. C’erano sardana senz’anima. Palloncini colorati che salgono verso il cielo. E una Santa Messa al centro del campo di gioco.
Ci sarebbero voluti anni per apprendere che, per poter iniziare i lavori, lo sgombero forzato delle baracche degli immigrati e dei terreni occupati dai loro inquilini legali era stato effettuato anni prima. Quel giorno, mio padre, dalle tribune del Gol Norte, mi indicò con lo sguardo il palco, dove si trovavano alcuni parenti: Francisco Miro-Sans, tra loro, principale promotore della costruzione dello stadio e presidente del club . E Francisco Mitjans, l’architetto dello stadio. Non c’è molto altro che mi ricordi i miei ricordi di bambino, se non che, giorni dopo, nella prima giornata di campionato, il Generalissimo si presentò al Camp Nou per dirigere la partita, e mi sembrò di capire – capii anche questo rapidamente – che le scatole che vedevo potevano in realtà essere sempre la stessa scatola oscura.
La leggenda di Kubala, il calciatore proveniente dalla cortina di ferro, racconta che gli abitanti di via Ludovigeum, a Budapest, lo conoscevano come “il ragazzo con la palla”, perché la palla sembrava non voler mai lasciare i suoi piedi. Era un precedente ungherese per Messi? Avrebbe senso che fosse così, tenendo conto che di Kubala si dice che, oltre a dare dimensioni da circo al calcio negli anni ’50, trasformò il campo di Les Corts in un campo piccolo e si dovette costruire il Camp Nou. E non si dice di Messi che ha trasformato quello stadio in uno stadio così piccolo che sulle sue rovine ora si sta costruendo il Camp Nou?
Kubala venne ingaggiato da un’altra leggenda del club, Samitier, che fu un grande giocatore e poi un grande segretario tecnico e buon amico di mio padre, il che non vuol dire che a mio padre piacesse il calcio, anzi: lo odiava. Trovava ridicolo che 22 persone corressero dietro a un pallone di cuoio per segnare un gol, ma lui fu a lungo presidente del Barcelona Gran Peña di Plaza de Catalunya. Colmando le distanze insormontabili, accadde a lui quello che accadde al poeta Baudelaire, che detestava l’invenzione della fotografia, ma era lo scrittore più fotografato del suo tempo.
Samitier, Kubala, Rexach, Cruyff, Koeman, Iniesta, Messi e ora sembra che Lamine Yamal. Basterebbe solo questa gloriosa litania per sapere quale genio ha attraversato i 125 anni di storia di questo club. Una cifra che, per la mia avversione ai “numeri tondi”, dovrebbe ripugnarmi, e infatti quel 125 mi ripugna, il che non mi impedisce di provare a riassumere qui quegli anni. Se c’è qualcosa che soprattutto mi incoraggia a questa impossibile sintesi, è la maglia del Barça con il numero 99 che mi ha regalato recentemente sul terreno sacro – del Palau Blaugrana – Edu Castro, quello che fino a poco tempo fa era geniale allenatore di hockey del Barça, uomo anche allergico. a qualsiasi numero tondo che gli viene messo davanti.
Forse è sufficiente dire di Johan Cruyff che era più che un genio: era così sicuro di sé che di solito prendeva decisioni insensate che lo portavano al successo. Ha cambiato la società risollevandone il morale. Ricordo che arrivò da Amsterdam, forse il giorno più decisivo nella storia del club, e si chiese perché il giocatore del Barça dovesse vivere così pieno di complessi nei confronti del Real Madrid. Era esattamente la stessa domanda che, anni prima, Helenio Herrera si era già posta all’inizio del Ehiil libro dei ricordi scrittogli da Martin Girard, cioè Gonzalo Suárez (Planeta, 1962).
La cosa più probabile è che le tre stagioni semplici e trionfali con Messi e Guardiola come allenatore – discepolo diretto di Cruyff – siano insormontabili e, in ogni caso, siano il vertice di quei 125 anni che noi, nemici dei numeri tondi, ma sostenitori del 99 e della felicità, vogliamo anche festeggiare. Anche se abbiamo infranto la nostra licenza dopo l’insopportabile e disorientante stagione scorsa. Non sono più membro, ma se il Barça segna a Liverpool, noto che sono ancora membro.