Il gioco era lo stesso di sempre: una serie di carte con personaggi, armi e stanze. E il contesto, quello ideale: un pomeriggio prenatalizio, in famiglia, con il fuoco che scoppietta in sottofondo. Dalla finestra, di tanto in tanto, si poteva assistere alla folle danza di un gruppo di foglie impastate dal vento, che tanto soffia nell’Empordà, e che ha lasciato un segno indelebile nei suoi abitanti, cresciuti in una squisita imbronciatezza.
Con la tazza calda tra le mani e la cioccolata fumante, ti aspetta un momento di mistero e divertimento. Il vincitore sarebbe stato chi avesse indovinato l’autore del delitto, nascosto al centro del tabellone, in una piccola busta. La memoria, in uno dei suoi tanti hard disk, conservava giorni gloriosi governati da un’unica frase: “Rubio lo uccise, nella serra, con il candelabro”. Oppure Celeste, con il tubo di piombo, nella sala da biliardo, o qualsiasi altra opzione possibile.
Ma la verità è che era già difficile recuperare alcune regole dimenticate, accumulate di polvere, scritte sulla vecchia carta… Con gli occhiali vicini al centro del ponte nasale, si perse mezz’ora per decifrare il messaggio nascosto scritto in inchiostro nero. Solo una mente contorta avrebbe potuto scrivere così tante lettere insieme e così piccole. E poi dovevano essere capiti e spiegati. Un’attesa esasperante, che ti ha costretto a prendere di nascosto il cellulare.
Una volta chiarite le regole, presumibilmente, e distribuiti carta e matita, iniziava il gioco da tavolo. Prima bisognava ricordare ad alcuni giocatori (minacciati nei casi più gravi) che l’importante era godersi un po’ di tempo con la famiglia. Faccia a faccia. Parlando. Interagire. Applicare le regole più elementari della logica e della deduzione. Perché che lo volessero o no (che urlassero di Fortnite o no), quel pomeriggio avrebbero giocato a Cluedo.
Ma non era facile tenere in piedi l’albero maestro del nucleo familiare. Nel secondo giro di domande, metà del tavolo ha guardato il cellulare quando non era il loro turno. La terza volta dovevi attirare l’attenzione del giocatore a cui toccava lanciare i dadi. Dopo due disperati tentativi di risoluzione e diverse urla, il pomeriggio andò in pezzi ed era giunto il momento di ammettere la realtà: il gioco da tavolo era stato un fallimento.
“È molto noioso”, si è convenuto, senza cercare di chiarire se Cluedo non sia mai stato davvero divertente. Wikipedia dice che è stato creato nel 1944 da Anthony E. Pratt, nel Regno Unito. Gli venne l’idea di suonare il pianoforte negli alberghi rurali, in un’epoca in cui i giochi misteriosi erano popolari tra gli ospiti, per allietare il pomeriggio. Anche i romanzi gialli erano di moda, di Agatha Christie, Raymond Chandler e altri.
È impossibile che Cluedo, nato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, possa competere nell’era della vero crimine, telefoni cellulari e social network. Basta inserire il nome di Isak Andic, il fondatore di Mango morto in un incidente in montagna lo scorso fine settimana Solo loro hanno risolto ciò che Ovviamente, È un crimine da parte di suo figlio, che sia per denaro, per amore, per onore… Che il giudice, salvo prove dell’ultimo minuto, stia per depositarlo, è la cosa meno importante.
Come quella di Cluedo, la società del nostro tempo porta nelle vene la passione per il crimine. Raramente il dolore delle vittime, persone in carne e ossa, attraversa la mente di chi twitta, o di chi scrive le proprie tesi in un gruppo WhatsApp di amici, con la tranquillità e la certezza che da lì non uscirà mai. È un’evoluzione dell’umorismo nero, che continua ad essere praticato, anche se con un’accoglienza peggiore. È il piacere cospiratorio di inventare, di creare, di interagire con uno schermo, come se la realtà fosse solo un’altra finzione.