Vestito da giocatore, capitano, direttore sportivo, rappresentante o ambasciatore, ci sono cose che non cambiano nella vita di Carles Puyol (La Pobla de Segur, 46 anni): con la stampa è tanto professionale quanto sfuggente. L’ex leader dello spogliatoio del Barcellona, oggi ambasciatore della Liga, parla con EL PAÍS via Zoom. Non accende mai la telecamera. Non perde però la sua gentilezza e concede addirittura un paio di minuti in più a quelli concordati. Puyol partecipa questo venerdì a Madrid all’evento LaLiga EA Sports TS X FC 25 RUSH, in cui affronterà, insieme ad altre leggende, una squadra di stelle filantiprima in una partita virtuale contro l’EA Sports FC 25, poi in un vero duello di calcio, entrambi in modalità fretta (cinque contro cinque, su campo piccolo, ma con rete da calcio a 11).
Chiedere. È passato da giocatore a capitano e da direttore sportivo a rappresentante. Ora è un ambasciatore. In quale ruolo ti sei sentito più a tuo agio?
Risposta. Sono ruoli diversi. Ma dove mi sono sentito più a mio agio è stato come giocatore. Era la mia passione. Ho potuto farlo per quasi 20 anni nella squadra del mio cuore. Il settore è un mondo molto competitivo e nei diversi posti in cui sono stato ho sempre cercato di dare il meglio. Quasi non c’ero come direttore sportivo. Non è stato un momento facile per me, ero appena andato in pensione. Se però in futuro dovessi fare qualcosa legato ad un club o ad una nazionale, sarebbe la posizione in cui mi piacerebbe di più ricoprire.
P. Perché?
R. Bisogna pianificare e fare dei lavori di ristrutturazione, che forse non sarebbe la parte che mi divertirebbe di più, ma gestire la squadra e poter aiutare dall’interno.
P. E come affronti questo tipo di eventi che promuovi oggi?
R. Rimango serio e professionale. Questi eventi sono molto belli. Si tratta di intrattenere le persone e far sì che anche noi possiamo divertirci. Sono iniziative affinché più persone possano godersi il calcio e farlo in un modo diverso.
P. Il futuro è in gioco?
R. Se non mi divertissi, non lo farei.
P. Vi chiedo intrattenimento, dobbiamo mixare il gioco tradizionale con l’allenamento?
R. Il gioco tradizionale ci sarà sempre e rimarrà lo stesso. Si evolverà, come di consueto. Poi escono le alternative, è normale.
P. Quando eri un giocatore, come ti trovavi con le console?
R. Sinceramente da giovane giocavo tantissimo. Lo ha fatto anche ai raduni. Ho dovuto lasciarlo perché mi rendeva molto nervoso e mi impediva di esibirmi ai massimi livelli.
P. Ti ha fatto male?
R. Alla fine sono state partite molto tese e noi siamo molto competitivi, vogliamo tutti vincere. E abbiamo giocato il giorno prima o il giorno della partita. Ero molto serio, volevo avere tutto sotto controllo ed essere al meglio fisicamente. Ho capito che questo potrebbe farmi del male.
P. Con chi ha giocato?
R. Con Luis Enrique, competitivo, vincente. Poi c’erano anche Ivan de la Peña e Arnau, che riposi in pace.
P. Era all’inizio della sua carriera.
R. Sì, nella generazione successiva non ero più solo io a non giocare. La maggior parte di loro non giocava. E’ anche vero che non eravamo più concentrati sulla fase di preparazione.
P. Come vedi questo Barça?
R. C’è una combinazione di veterani con giovani molto giovani che stanno dando ottime prestazioni. Sono emozionato.
P. Sei rimasto sorpreso?
R. La prestazione? Alla fine non si sa mai. È un progetto nuovo e lui deve adattarsi al club, conoscerlo. L’inizio è molto buono. È chiaro che Flick è un grande allenatore e che ci sono giocatori molto bravi. C’è sempre l’incertezza, soprattutto su come inizierà. Stanno andando molto bene.
P. È stato ingiusto con Xavi?
R. Xavi è un amico, un grande allenatore. Al Barcellona la richiesta è massima. Avrei voluto che continuasse, ma chi è dentro deve decidere. Se hanno preso quella decisione, va rispettata.
P. Raccontami di Cubarsi. Secondo lui sei il suo idolo.
R. E’ un giocatore molto completo, con un’ottima uscita di palla. In questo senso assomiglia più a Gerard Piqué che a me. Ma in difesa è molto intelligente. È competitivo e sempre concentrato. Non è facile avere quella tranquillità a quell’età.
P. È più comune vedere un attaccante piuttosto che un difensore centrale affermarsi nell’élite a quell’età (17 anni)?
R. La cosa strana è che ha un rendimento così regolare, senza errori. È impressionante. Ho avuto l’opportunità di parlare con lui. E’ molto serio e professionale.
P. Hai vissuto tutta l’evoluzione di Messi, Lamine Yamal te lo ricorda?
R. Se gli mettiamo l’etichetta Leone… La pressione è già massima. Ciò che Leo Messi ha fatto e continua a fare è incredibile e sarà molto difficile rivedere un giocatore così. Era molto bello quando è arrivato, ma ha continuato ad evolversi anche negli ultimi giorni.
P. La cosa più complicata è l’evoluzione costante?
R. Credo di si. Soprattutto, in un giocatore così bravo. Fin da giovanissimo era già il migliore al mondo e, tuttavia, è riuscito a mantenere l’illusione. E’ molto complicato. Tutti i giovani dovrebbero cercare di imitare Leone. Non nel senso di giocare come lui, ma nella sua idea di migliorarsi costantemente.
P. Gioca come Messi e pensa come Puyol?
R. Messi ha fatto tutto. Avevo altre caratteristiche ed ero consapevole che dovevo lavorare molto duramente se volevo essere al massimo delle prestazioni. L’ho provato dal primo all’ultimo giorno. Anche Messi ha fatto lo stesso, ma essendo 10 volte migliore.