Voglio essere un buon sostituto | Calcio | Sport
Non ho ancora incontrato nessun giocatore che mi abbia detto di voler fare la panchina. Tutti vogliono e chiedono di giocare. All’inizio. 90 minuti. E tutti i giochi. Comprensibile, ma non fattibile, a meno di avere una rosa di 11 giocatori che non si infortunano mai. E questo non esiste. Partendo, poi, da questa chimera iniziale, sembra difficile gestire senza attriti i legittimi desideri dei protagonisti, con i necessari giochi di minuti e di fiducia che gli allenatori fanno con rose numerose e calendari congestionati.
E’ tempo di negoziare. Ed è qui che entrano in gioco le competenze chiave per esercitare questa professione a livello d’élite: la capacità di convincere, anticipare ed essere trasparenti. La salute di uno spogliatoio solitamente si misura dalla capacità di contribuire di chi gioca meno. Accettare il ruolo assegnato, non importa quanto piccolo e frustrante, e trovare un modo per avere un impatto positivo sul gruppo. Ho chiaro che è una responsabilità condivisa tra giocatore e allenatore e che funzionerà tanto meglio quanto maggiore sarà la presenza di valori come l’umiltà o l’empatia.
Qualche settimana fa spiccava il ruolo di Correa come numero 12 dell’Atlético. È un sostituto modello, il complemento ideale di una squadra di prestazioni. Entra e contribuisci. Ingoia il desiderio di esserci quando vuole accettare di dover uscire quando hanno bisogno di lui. Potrebbe sembrare una virtù speciale ed esclusiva dell’attaccante argentino, ma c’è qualcosa – ci deve essere – nella gestione di Simeone che la sta estendendo anche ad altri non titolari. Finora in campionato sono stati dieci i gol segnati dalla panchina del Colchonero e 13 (su 31) dall’Atleti nell’ultimo quarto d’ora delle proprie gare.
I dati sono tanto brutali quanto è vero che, nonostante ciò, il dibattito tra titolari e sostituti continuerà a vivere. Sicuramente è infinito, per quanto sia difficile per noi del calcio rivedere le gerarchie e le inerzie dei gironi. Questo sabato a Montjuïc, chi verrà scelto titolare contro il Barcellona sarà più felice di chi dovrà aspettare il proprio turno, e il primo sostituto sarà molto più arrabbiato di chi verrà espulso a pochi minuti dalla fine. Meraviglioso crossover tra le aspettative di chi gioca con la tortura per vincere e la correttezza nei confronti di chi decide.
Come possiamo distribuire meglio le responsabilità e valorizzare equamente l’undici titolare così come i cambi? Perché 90 minuti normali valgono ancora più di 30, 20 o 15 eccezionali? Possiamo ripensare la gestione dei partiti affinché funzioni per parzialità?
L’unica cosa che mi sembra chiara è che il calcio di oggi è sempre meno continuo e sempre più frammentato e non solo per come vengono fatti gli allenamenti dal punto di vista condizionale, ma anche per come gestiamo il controllo e la mancanza di controllo .nelle partite dal punto di vista tecnico-tattico. C’è una pausa o c’è una vertigine. C’è stabilità o c’è caos. Ci sono giocatori per entrambi? Oppure stiamo etichettando il calciatore, credendo che sia valido per uno scenario ma limitato per l’altro? Potrebbe essere che stiamo cercando una giustificazione per la distribuzione dei verbali?
Dal 2021, dopo la pandemia, invece di tre abbiamo cinque cambi, quindi appare ovvio che le partite non saranno una questione dei primi undici prescelti, ma dei 16 finalisti partecipanti. Contiamo, anche se sembrano non contare, i giocatori non convocati o infortunati, che aiutano anche il progetto e il clima della squadra in settimana. Il calcio è uno sport di squadra, anche se nel mondo punti salienti A volte sembra il contrario. Speriamo di poter rieducare il giocatore affinché il suo sogno di giocare 90 minuti risponda ad essere importante anche nelle combinazioni 45+45, 60+30 o 75+15.