Festival nato e radicato nel Priorat | musica
Il Priorato è una terra di asprezza ed estremi. Niente è facile lì. Per la topografia, per il territorio stesso, per lo spopolamento, per l’oblio istituzionale, anche per la solitudine. Come se un folletto malevolo suonasse per ricordartelo, l’ultimo giorno del Terrer Festival, un festival di musica e arte che per tre mesi ha portato un programma culturale molto solido in tutta la regione, scatena un’ondata di mille demoni. In alcune case la luce va e viene e al teatro l’Artesana, a Falset, dove la sera si esibisce Rita Payés, che gran finale di Terrer, manca la corrente. Chiamano rapidamente un generatore che risolve l’impasse, e il goblin, già temperato, apparirà solo ad un certo punto del concerto sotto forma di scratch del sintetizzatore.
El Terrer è iniziato alla fine di agosto, quando la regione stava iniziando il raccolto e tremava per gli effetti di una siccità che aveva portato via metà del raccolto. Da allora, è passato per Capçanes, Escaladei, Cabacés, les Guiamets, Gratallops, Poboleda, Ulldemolins, Pradell de la Teixeta, el Lloar, Cornudella de Montsant… Sottolineando l’epigrafe di musica, vino, architettura e paesaggio che lo definisce , è stato legato a tutti questi elementi, con varie metamorfosi, a seconda del luogo, del momento e delle stelle in congiunzione. Una ventina di posti dopo, la festa si conclude al Ponte di Dicembre, con una brezza, con i vini a riposo, e incrociamo le dita affinché l’anno prossimo la pioggia sia più generosa e arrivino le infrastrutture necessarie. I manifesti e le immagini dei concerti utilizzati dal festival alludevano alle devastazioni della siccità, che hanno raggiunto livelli drammatici. El Terrer, diretto da Blai Rosés, mette radici e cresce ―fa rami―, programma e si adatta ai propri luoghi originari in una regione che non raggiunge i diecimila abitanti. In questa ottava edizione, ha completato concerti e recital con degustazioni guidate di vini (la regione con meno di diecimila abitanti conta 150 cantine e due eccellenti DO), e ha pubblicato una rivista ―un altro atto controculturale, oggi!― che ha fissato immaginario culturale, enologico ed esperienziale. E ha accolto circa 5.000 persone di pubblico.
Prima dell’ultimo concerto, e dopo una serie di parlamenti di rappresentanti politici, la scrittrice Maria Climent presenta Rita Payés come “un talento che non smette mai di crescere”. L’autore, che aveva partecipato ad un recital settimane fa e che vive a Deltebre, a un’ora di macchina da Falset, scoppia in un applauso con una dichiarazione che riassume il tutto: “Nell’ultimo anno sono venuto più volte dal concerto al Priorat che a Barcellona”. Gli applausi lasciano presagire una serata calda, nonostante l’esterno. è Per come Rita Payés e la sua band vengono accolti e ascoltati, per come la trombonista e cantante apprezza il ritorno al Terrer, due anni dopo, per la generosità dell’intero repertorio, per un concerto che durerà oltre l’ora e mezza. e che creerà momenti di ogni tipo: intimi e sinuosi, sorprendenti e camaleontici.
Un’impressione mi accompagna sia al concerto di Rita Payés che a quello di Roger Mas, il giorno prima: quella di ritrovarmi di fronte a due artisti in continua trasmutazione, che godono e fanno godere i loro cambiamenti. È chiaro che i due si trovano in momenti molto diversi della loro carriera, con proposte artistiche distanti, ma i due sono pienamente capaci di diventare tante figure sulla scena e di trasformare la musica che suonano e cantano in un’altra cosa, qualcosa di nuovo ma innestato con impugnature molto varie. In un “ambiente amichevole e affiatato” come questo, come dice Blai Rosés, i due offrono il meglio di sé.
Rita Payés ―avresti potuto fare di più a soli venticinque anni?!― arriva con il suo terzo album, Di strada in stradae si presenta sul palco con un’aria sacerdotale che poi cambierà. Mi chiedo se questa mancanza di ritualità sia legata al tempo in cui viviamo o alla sua generazione o ad entrambi, nel senso che, priva di ormeggi, l’arte ne crea di nuovi e si riempie di rituali che già nascono come finzione. Sul palco ci sono alcuni rami secchi di albero capovolti che immagino siano legati alla siccità del Priorato, ma alla fine del concerto Rita Payés rivela che si tratta di un castagno, un progetto di allestimento e luci che ha suggerito il brillante creatore Andreu Fàbregas. Tutto si lega insieme. Rita Payés passerà poi al jazz, alla cantautrice e al gruppo di bossa nova: può abbracciare tutti i ruoli.
Ho visto Roger Mas esibirsi in molte circostanze della mia vita e della sua. Vederlo al maniero Porrera, nel Priorat, accompagnato da Cobla Sant Jordi, con mio figlio in grembo, è una novità. L’atmosfera è familiare, il vento non si è ancora alzato e all’interno del campo si respira un respiro di umanità di diverse generazioni. Roger Mas, americano blu brillante, parla meno di prima. Anche lui ci scherza su e, per quanto mi ricorda, ha ragione. Sembra aver trovato un punto giusto che gli permette di saltare tra le varie liane musicali con una naturalezza esultante: versioni di canzoni sue e non, bacchette varie, di La Llorona UN Conte ArnauDi La canzone d’all’amore perduto, E la pioggia si è prosciugata UN Paga benecon il distico della ninna nanna, e mio figlio più piccolo che alla fine di ogni brano emette un verdetto inequivocabile: “Ancora!”. Dice così ogni volta che gli canto una canzone che gli piace, e applaude con lo stesso entusiasmo di tutta la sala di Casal de Porrera. L’Ode a Francesc Pujols, introdotta con recalcitrante ironia, ha ricevuto una standing ovation. Un lusso in una piccola città. E un lusso da cantautore per un piccolo Paese.
Ecco perché, con il brano finale del Terrer, ho avuto un’altra impressione: il desiderio di fruire di questi concerti, di abbracciare un programma culturale di alto livello, radicato, localizzato, l’opposto dei grandi festival delocalizzati, senza dover fare un chilometro Al massimo, un’ora per Deltebre.